Immigrazione, partiti politici, Europa.
Argomenti che, negli ultimi anni, sono finiti più volte al vaglio dell’opinione pubblica e sono diventati bersaglio di un nemico comune, rappresentato da una retorica populista, che li vede come origine dei mali che affliggono il Paese. Un fattore ormai presente, in diverse forme, sia a destra che a sinistra.
Ma cosa è esattamente il populismo? Se ne è discusso in “I dialoghi con L’Espresso”, incontro organizzato a Bari, nel Teatro Petruzzelli, da “L’Espresso”, la nota testata giornalistica appartenente all’omonimo gruppo editoriale guidato da De Benedetti. Ospiti dell’evento sono stati il sindaco di Bari Michele Emiliano, Massimo D’Alema, esponente del Pd ed ex ministro degli Esteri e Ilvo Diamanti, giornalista di Repubblica collegato via Skype con il Teatro, intervistati da Bruno Manfellotto, direttore della rivista.
“Non esiste un’unica definizione di “populismo” e spesso noi stessi non sappiamo di essere populisti. Populista è sempre l’altro. Spesso, infatti, etichettiamo come populista quel che non ci piace, dedicando alle argomentazioni a noi gradevoli l’aggettivo “popolare”” ha spiegato Diamanti. Che ha illustrato i vari aspetti del fenomeno: “Alla base dei populismi c’è un popolo indifferenziato al suo interno, contrapposto ad un nemico. Questo può essere rappresentato dalle élite che governano (governo, istituzioni, partiti), dallo straniero e dall’immigrato e, infine, dall’Unione Europea. Implica un attacco ai meccanismi della mediazione e ai corpi intermedi, favorito oggi dalla televisione e da internet. E’, in ogni caso, sintomo di uno squilibrio tra governo e popolo, di un malessere che affligge le democrazie europee, non solamente quella italiana. Ne è una dimostrazione, in Francia, il recente successo elettorale di Marine Le Pen, leader del partito di estrema destra “Front National”, le cui posizioni, ora largamente accettate, fino a poco tempo fa erano sostenute da pochi”.
Concetti ribaditi anche da D’Alema: “I movimenti populisti hanno in comune l’appello al popolo contro le elite politiche e finanziarie (queste ultime, soprattutto nei populismi di sinistra). L’UE, da questo punto di vista, si presta bene come bersaglio, essendo visto come un ente lontano, di cui non si conoscono i rappresentanti e quale legittimazione essa abbia per influire sulle scelte nazionali”.
Quel che l’esponente del Pd contesta al populismo non sono le “legittime” ragioni della protesta. “Esso è sintomo della malattia, della crisi delle democrazie europee. Contesto le ricette, che sono catastrofiche. Esso è incapace di creare soluzioni – continua l’esponente Pd –. Una delle ragioni della crisi dell’UE è che, negli ultimi venti anni è cresciuta sotto l’egemonia liberista, deviando dal progetto originario. Abbiamo assistito al primato dell’economia o, peggio, della finanza, sulla politica che, rimasta nei confini nazionali ed esautorata nelle sue funzioni, si è ridotta a mera narrazione, e dunque a populismo. La chiave è tornare al primato della politica, inteso non come primato di un ceto politico”.
Il ritorno al primato della politica, secondo D’Alema, implica la rilegittimazione dei partiti, perché “dove essi funzionano, diminuiscono le diseguaglianze sociali, che, invece, negli ultimi anni sono aumentate. Siamo tornati indietro di cento anni”.
In ambito europeo, invece, occorrono, per il politico, istituzioni più democratiche: “Abbiamo proposto l’elezione diretta del presidente della Commissione Europea. Chi ha memoria storica per ricordare i danni prodotti dalle guerre che hanno insanguinato il continente, può comprendere l’importanza dell’Europa unita. Ma quella che voglio è un’Europa che faccia investimenti strutturali, riorienti le politiche verso la crescita e il lavoro e che non si limiti a tagliare. Un’Europa capace di esercitare il proprio ruolo a livello internazionale. E’ intollerabile che sulla questione ucraina discutano solo USA e Russia. Occorre uno spostamento dell’asse europeo a sinistra e uno spostamento verso l’Europa della sinistra, ancora gravata da resistenze nazionalistiche”.
E sulla questione immigrazione: “Se dovessimo mandare tutti via gli immigrati perderemmo l’11% del Pil. I problemi sono la normativa non omogenea all’interno dell’UE e una legislazione italiana troppo punitiva, che ha attirato solo una parte dei migranti, quella dei più disperati e meno qualificati, scoraggiando gli altri che hanno preferito altri paesi”.
Una nota di merito, per D’Alema, va agli enti locali, le cui politiche hanno spesso favorito l’integrazione, oggi come in passato con l’immigrazione dal Sud: “Queste politiche vanno studiate e analizzate. Solo così si sconfiggono gli imprenditori della paura verso l’immigrato”.
Sull’argomento è infine intervenuto anche Fabrizio Gatti, giornalista de “L’Espresso”, che, ricordando le tragedie avvenuto a Lampedusa, ha illustrato la proposta di candidare l’isola al Nobel per la pace.