Piccoli
e trasandati. Sette-otto anni. Sono due bambini, forse rom, forse fratellini,
fermi da giorni, da mane a sera, presso l’angolo tra via
Larovere e via 4 novembre (e non solo lì, non solo loro). Il bitontino passa.
Qualche spicciolo, qualche battutina al volo: “ma a scuola non ci vai?”. Poi si
corre.
Non
facciamo, qui, retorica a buon mercato: non è che detto che si corra a tutti i
costi verso l’indifferenza. Il cittadino sensibile sperimenta, in questa ed
altre situazioni, la propria drammatica insufficienza.
L’acume
umano c’è: non può non sollevarti l’anima, ridestartela, quel bimbo coetaneo della
carne nostra, così simile ai figlioli a casa.
Un’infanzia
per qualche soldo eterodiretta da chissà quale incosciente e familiare mano. I bimbi
si arrampicano quasi alle auto, non fai in tempo a salutarli che il rosso
ridiventa verde e devi partire.
I
due ragazzini restano, però, lì. E allora pensi.
Vero,
io sono insufficiente, le denunce pur esistendo, per carità.
Ma
le forze dell’ordine che da lì passano (e passano) perché non si fermano? O
forse si fermano, dubitar non osiamo.
Ma
si deve scavare, andare a fondo, assistere ai momenti topici in cui le cose
accadono. Perché qualcuno li porterà i bambini da quelle parti. Qualche mente
che agisce sulle loro vite c’è di certo.
Forse
non ci rendiamo conto che qui non si parla di culture, rispetto per
“tradizioni” e compagnia bella (a parte che una tradizione che preveda
l’accattonaggio fisso dei piccoli appare naturaliter da perseguire, non solo
perché avviene in un territorio che non la prevede).
Qui
si parla di un fenomeno, la mendicità infantile indotta, su cui consessi e nomi
più grandi dei nostri si occupano da tempo: dall’Osce ai parlamenti nazionali e
continentali.
Quanto
alle forze dell’ordine, nessuno, qui, mette in discussione il lavoro di
chicchessia. Le nostre sono semplici domande, segnalazioni. Non scopriamo
l’acqua calda, certo. Magari la situazione è già più che nota e mentre
scriviamo qualcosa si sta muovendo. Osiamo pensarlo e sperarlo.
È
un diritto anche nostro, non certo di mera ed esclusiva “sicurezza”. Il fatto
non infastidisce l’autista, il cittadino semplice.
Qui
c’è un minore sfruttato. Punto.
Ci
permettiamo, allora, solo di suggerire di far presto, dando un segnale chiaro:
Servizi sociali e Polizia municipale, su questo, possono fare molto.
“I
tuoi soldi condannano i bambini”: in Perù, ad esempio, è lotta senza quartiere
a questo fenomeno, puntando il dito “contro” la pur spontanea pietà che nasce
da una così piccola mano che chiede spiccioli.
In
materia di abbandono ed emarginazione, esistono dei doveri chiari che gli
agenti conoscono decisamente meglio di noi: tutela di minori in casi di
violenze subite, così come accorgimenti nei confronti dei senza dimora e verso
ogni situazione di degrado sociale inarrestabile.
Anche
nei confronti di un clochard, prima dell’assistenza di chi per cultura o fede è
preso dalla spinta morale di occuparsene, dovrebbe intervenire chi di dovere. È
vero, il reato di accattonaggio per sostentamento è depenalizzato da anni
(1995), ma non certo se questo coinvolge minori (art. 671 del codice penale).
Le regole esistono. Applichiamole.
Prima
ancora di quelle del cuore. Perché fermarsi, accarezzare il bambino, fargli un
sorriso potrebbe non bastare. Non basta. C’è il verde e si riparte.
Mentre
quelle gambe, sottratte al diritto-dovere dell’istruzione e all’elementare
bisogno di calore domestico, rimangono. Non senza interpellarci comunque. Provare
dispiacere e quasi lasciarsi stringere il cuore è umanissimo.
C’è,
però, che il pietismo non ha mai salvato nessuno: è l’intervento urgente che
occorre, accanto all’aiuto sociale e ad un percorso di consapevolezza.
Sappiamo
che tanto è fatto, con carenza di mezzi. Proviamo a fare anche questo.