Cosa
possono avere in comune Platone e Zdenek Zeman?
All’apparenza nulla, visto che
sono due personaggi vissuti a secoli di distanza e che, tra l’altro, sono
diventati famosi per motivi diversi.
Il primo è un filosofo greco, originario
di Atene, vissuto tra il 427 a.c e il 347 a.c, e considerato uno dei padri del
pensiero occidentale.
Il secondo, l’”allenatore venuto dalla Boemia”, è uno dei
personaggi di calcio più famosi e più discussi del pallone del XX e del XXI
secolo, con le sue idee e per le sue parole fuori dal campo.
Eppure,
secondo Gianni Spinelli, giornalista e scrittore, tra i due sono molti i tratti
che li accomuna. E li spiega nel suo ultimo libro “Il gol di Platone. L’arte del calcio tra
cronaca, filosofia, letteratura, psicologia e Zeman”.
Nel
volume (il terzo dell’attuale opinionista del Corriere del Mezzogiorno e di Epolis Bari), l’autore
rivisita con ironia il delirio di accostamenti che ha accompagnato il percorso
del tecnico boemo, unicum del calcio italico e non solo.
E riesce a mescolare in giuste dosi
cronaca, filosofia, letteratura e psicologia.
Nella riscrittura di Zeman,
Spinelli immagina di avere una spalla che lo accompagna, il professor Fabio,
docente di italiano, a digiuno di arte pedatoria, ma incuriosito dal
personaggio, avendo vissuto casualmente l’arrivo dei carri armati sovietici a
Praga, dai quali però proprio Zeman decide di scappare.
«Sono
tante le analogie che si possono trovare tra Zeman e Platone – sottolinea Mario Sicolo,
direttore del www.dabitonto.com – perché entrambi, per esempio,
creano accademie e hanno discepoli. Tutti e due hanno a che fare con tiranni,
ed entrambi hanno come punto di partenza le idee e il loro mondo».
Già, perchè mentre il
filosofo greco ritiene che le cose siano soltanto copia delle idee, dal quale
ovviamente tutto parte, il tecnico boemo rimane sempre fedele al 4 – 3 – 3,
inteso come gioco di fantasia e di spettacolo. Lo propone nei primissimi anni
’90 a Foggia, ribattezzata subito “Zemanlandia”, lanciando sul palcoscenico italiano
nomi come Giuseppe Signori, Francesco Baiano, Giuseppe Rambaudi.
E lo
ripresenta imperterrito l’anno scorso a Roma, ma i risultati non gli danno
ragione. E in mezzo, le esperienze nella Lazio, ancora nella Roma, a Salerno,
ad Avellino, a Lecce e a Pescara. Sempre con un unico grande avversario, molto
spesso più fuori dal campo che nel rettangolo di gioco: la Juventus, che ha la
“colpa” di averlo scartato come allenatore.
«Zeman è
il tipico personaggio antitaliano per eccellenza – spiega Gianni Spinelli – perchè, a differenza nostra,
lui non ama molto parlare e chiacchierare e non ama fare catenaccio, l’arma più
usata dal pallone nostrano. Ho deciso di scrivere un libro su di lui perchè mi
ha sempre affascinato la lunga sequenza di articoli scritti sulla sua persona e
un certo tipo di letteratura superficiale che si è creata attorno al suo nome.
Io non lo ammiro e non è la panacea del calcio, ma è un allenatore che va alla
continua ricerca degli spazi. Un po’ come fa Leopardi».
Il tecnico di Praga, che si è
avvicinato al calcio dopo aver provato tutti gli sport, ha anche somiglianze
con Carmelo Bene, dal quale sembra prendere la passione per l’arte del calcio.
«Questo
è un libro per palati fini e per palati che amano raffinarsi – sostiene invece Valentino Losito,
presidente dell’Ordine dei giornalisti di Puglia – e che ci rievoca i tempi in
cui il calcio era attesa ed era racconto. Si può tranquillamente adottare nelle
scuole». Come dice anche Fabio
Caressa, giornalista Sky, nella sua prefazione.
Ma chi è
il nuovo Zeman del calcio italiano? «Lui è un modello unico e non vedo in giro altri che gli somigliano. Per un
po’ ci ha provato Massimiliano Allegri (ex
allenatore del Milan, ndr) ma non ha funzionato bene»,conclude lo
scrittore.