Un
giorno, subito dopo il tramonto per la precisione, qualcuno in casa Morselli
decise che quello specchio, tutto forato dai tarli e tanto vecchio, non serviva
più e poteva tranquillamente essere gettato.
Michele, rincasando dopo la solita giornata in
ufficio, odiosa, noiosa, stancante giornata, presentiva qualcosa.
Il
mercoledì, infatti, era il giorno delle pulizie. Un giorno sacro per la moglie.
Cominciava ad urlare come un’ossessa di primo mattino mettendo in fuga i due
figli, che, trovando riparo presso le case degli amici, lasciavano così sgombro
quel succulento campo di battaglia. In questa operazione aveva complice la
colf, o collaboratrice domestica come si dice con finto rispetto.
Libera la
dimora, si partiva con velocità supersonica a fare piazza pulita di tutto
quello che capitava sotto mano. Ed era proprio questo che terrorizzava Michele,
che, quella mattina, subito dopo il caffè – amaro, sempre troppo amaro nonostante
la montagna di zucchero che vi aggiungeva –, s’era recato al lavoro con
un’ombra nel cuore. Un’ombra che lo tormentava come una nuvola grigia e
capricciosa in pieno cielo azzurro. Sentiva che non tutto sarebbe andato per il
verso giusto. Sapete com’è certi giorni, basta un niente che non riuscirete mai
a spiegarvi per spegnervi il sorriso.
Così,
passeggiando per le vie della città che ancora sbadigliava, ricordava che prima
di infilare le scarpe s’era guardato a lungo dinanzi al suo specchio prediletto.
Uscendo, gli sembrava d’averlo addirittura salutato, come si fa con un vecchio
amico.
Amava
quel vetro che gli rimandava l’immagine sua e qualcosa di più. Era sicuro
riflettesse anche i suoi palpiti, i suoi timori, le sue emozioni. Aveva,
quell’aggeggio, una virtù che in casa nessun altro possedeva: il silenzio. Un
candido silenzio.
Lì
dentro s’era guardato la prima volta il giorno in cui la maestra gli aveva
appioppato un brutto voto e le sue guance paffute parevano sfiorare il
pavimento colorato. Poi, la sera in cui conobbe Daniela e, pur stando in camera
da letto, dietro la sua figura specchiata ricordava d’aver visto un cielo
azzurrissimo ed una luce sovrumana.
Davanti a lui vide una lacrima calda
precipitargli sulla guancia destra, quella notte in cui sentì il padre nella
stanza vicina ansimare gli ultimi respiri di vita. Fu proprio lì che titubante
annodò la cravatta, mancando per ben due volte la combinazione giusta, quel
giorno che tutti gli dissero felice e fausto, quello del suo matrimonio. Lì vide
il suo piccolo sfiorare lo specchio col dito ed esplodere in una fragorosa
risata quando il padre gli apparve alle spalle con la faccia stropicciata dalle
mani, quasi fosse di gomma. Il giorno della festa, la domenica, la moglie lo
costringeva a “vestirsi bene come tutti i cristiani” e lui ristava di più
davanti a quello specchio e si sentiva un po’ falso. Sicuramente ridicolo.
“Avrei
dovuto prevederlo, quelle due fanno pulizie e tritano tutto, lavano e fanno
scomparire tutto”, si disse non appena Daniela, con lo sguardo fieramente
eroico, gli annunciò di aver liberato finalmente la parete di destra della
camera da letto. Adesso lì avrebbero potuto appendere il quadro di un pittore
famoso che conosceva soltanto lei oppure il piattone col carretto siciliano.
Michele
non rispose, non disse nulla, volse solo lo sguardo un po’ intorno, quasi
cercasse qualcuno. Uscì trafelato e corse a fermare lo spazzino, o operatore
ecologico sempre per il rispetto che dicevamo. All’angolo di un cassonetto vide
il suo caro specchio. Reclinato e poggiato lì certamente con malagrazia, lo
specchio s’era procurato una fenditura larga e spessa. Il resto, meno male, era
intatto. Ma quella scissura gli finiva giusto sul volto riflesso, sotto
l’occhio sinistro giù giù fino al mento. Pareva una ruga.
Tornò
a casa pensoso, col naso sulla punta dei piedi chiedendosi perché non lo aveva
portato via di lì, non lo aveva voluto salvare.
Davanti
allo splendente, bianchissimo specchio del bagno, quella sera scoprì sulla
faccia una ruga nuova.
E
gli faceva tanto male…