Era
una semplice chiacchierata, ma immediatamente è diventata qualcosa di indimenticabile.
Non
dimenticare serve affinché non vengano mai più commesse ignobili persecuzioni e
non svanisca nel nulla il ricordo di queste vittime, ecco perché scegliamo di
raccontarvi questa chiacchierata.
Era
dunque il 7 Aprile di ben due anni fa quando, giunto in una piazza di un
altopiano cinquecentesco, notai l’indelebile pietra su cui era inciso il
ricordo di ben 51 vittime del nazismo e lì trucidate nel 1944, non a caso
veniva dedicata loro tale piazza.
Mi
bastò allora voltare lo sguardo per notare un ottantenne ormai piegato su se
stesso, a causa di quegli anni che pesano ogni giorno sempre più marcatamente,
ma che, oggi come allora, ricorda benissimo il volto del padre trucidato su
quella piazza.
A
volerlo uccidere, a suo dire, fu la Cesaretti, giovane amante di un ufficiale
tedesco, la quale guidò i tedeschi che occuparono la zona.
Invero,
la morte si fece strada attraverso l’odio immotivato che tale donna nutriva
verso il suo popolo e che andava a braccetto con la follia nazista.
Bastarono
poche ore per permettere alle milizie tedesche di rastrellare il paese e
portare via anche quei giovani uomini sfuggiti al massacro.
Fu
così che iniziò il peggio per Orlando allora innocente quattordicenne.
Ebbene
Orlando in quella operazione militare che lo vide prigioniero ebbe solo una
colpa: essere troppo alto per un ragazzino della sua età tanto da non
convincere gli ufficiali delle S.S. che fosse minorenne e pertanto non poter
essere strappato via dall’amore della madre.
Immediatamente,
quei camion verde militare partirono dritti verso una direzione sconosciuta a
molti.
Ma
dopo ore di viaggio, improvvise urla tedesche gli fecero capire che era
arrivato il momento di scendere e camminare in fila poiché erano giunti a
Cinecittà.
Lasciando
emergere la storia direttamente dai suoi ricordi difficilmente si potrebbe
immaginare come nei luoghi dove ora si girano coreografie per reality, oltre
sessant’anni fa per quei corridoi alloggiavano profughi ed ebrei.
Orlando
in quei capannoni adibiti ad alloggi e divisi per religione o nazionalità ci
visse per ben otto interminabili mesi.
Nel
suo racconto pesano come macigni i ricordi di quella disperazione che lo portò
addirittura a cibarsi di cicoria selvatica cruda cresciuta, non si sa come,
sulla sterpaglia e a cercare di saziare la sua sete bevendo dalle pozzanghere
su cui camminavano i neri scarponi delle S.S.
I
pianti e le urla dei prigionieri che lentamente laceravano dentro se stessi il
desiderio di libertà soffocato a causa degli ordini del generale Herbert Kappler non potettero che rendere
sempre più ardua la sua sopravvivenza.
Persino
ad un quattordicenne lasciavano presagire qualcosa di orribile quegli ordini
imposti dalla Gestapo, tipo scavare ininterrottamente ampie fosse in via Ardeatina
insieme ad altri prigionieri, quelli erano giorni sempre più cupi per un
adolescente.
Lui
pur non essendo di religione ebraica insieme a migliaia di altre persone fu
costretto a restarci a lungo almeno fino a quando non arrivarono le milizie
americane.
Forse
ancora oggi non saprà spiegarsi il motivo di quella cattura.
Dentro
di sé però non cancellerà mai il ricordo di quel soldato austriaco disertore
diventato suo vicino di letto e da cui riceveva cibo che gli permettesse di
sopravvivere, forse perché, pur non parlando la sua lingua, fu l’unico a capire
che realmente si trattasse di un ragazzino spilungone.
Il
suo ritorno a casa, davvero miracoloso, durò oltre sette giorni di cammino.
Orlando
giura che ne avrebbe fatto il doppio se fosse stato necessario pur di tornare
nel suo luogo natale.
Di
storie, infine, come queste ce ne saranno migliaia sicuramente anche più
difficili da raccontare, ma permetteteci di dedicare queste poche ed
“insignificanti” righe a tutte le vittime dell’incancellabile pazzia nazista
che ancora oggi vogliamo ricordare.