La storia è nota.
Si commenta da sé,
nella sua scelleratezza, volgarità e bella dose di violenza.
Un attentato
(verbale) alla incolumità del Sindaco di Bitonto, Michele Abbaticchio.
La frase
criminale, riportata dai quotidiani locali nell’immediato della sua
pubblicazione sulla “cloaca cibernetica” di Facebook, recita così: “ Sei un
morto che cammini figlio di puttana”.
Analizziamola.
Otto parole violente,
benché di una banalità inaudita.
Culla di un errore morfologico
raccapricciante.
Ci fosse almeno eleganza, capacità sintattica o semplicemente
verbale in quello che, inizialmente, era uno sparviero oratore e minaccioso,
nascosto dietro una tastiera (pronta, inesorabilmente, a render note le sue
intenzioni omicide) e che, successivamente, pare sia diventato una lontana
parente di un centauro impavido, denunciato dal primo cittadino dopo una
cavalcata contra legem lungo le scalinate del Teatro Traetta.
Macché.
L’intraprendenza “macha” della
difensore dell’indifendibile si è ridotta a un orrendo: “Tu sei un uomo morto
che cammini”.
Orrendo in tutti i sensi.
Da quello umano a quello grammaticale.