Quando
piove e s’ha freddo al cuore il riparo lo si trova sempre nella capanne delle
cose che fanno bene, fanno viaggiare, sognare, immaginare.
Ebbene, con
le foto di Francesco Catalano abbiamo
fatto un tuffo in Africa, ripercorrendo il suo viaggio in terra etiope, dove l’artista s’è
recato con il padre agronomo in missione FAO.
Stampe in
bianco e nero con i piccoli solchi del progresso e dei visi con un sorriso appena
accennato, occhi talvolta persi nel vuoto: sulla tavola alcune bottiglie di
Coca – Cola, nell’angolo un albero di natale, ma le tovaglie e i tavoli sono ricavati da elementi
semplici.
Poco, a
volte nulla.
Così
notiamo piccoli particolari, le coppe di calcio in miniatura sulla televisione,
gli occhi sbarrati nel vuoto, le mani che avvicinano il cibo a quelle bocche
affamate di domani.
Il
contraltare lo fanno sempre i bimbi.
Prima si
diceva che a qualsiasi latitudine sorridono tutti ugualmente, non credo che sia
più così. Per assurdo, i più tristi siamo noi.
Delicati i
segni sulla lavagna, con i vecchi cari gessetti di una bimba con delle
deliziose treccine. Ora siamo tutti troppo allergici, troppo informatizzati, i
libri sono sui tablet, le lavagne con i touch screen.
La cultura,
la passione, la forza, la tenacia dei ragazzi invece dov sono?
Diventa
così, tra luci ed ombre, una vera e propria indagine sociologica quella di
Catalano.
I paesaggi
dove corrono quei piedini veloci sono ancora fedeli al territorio.
Guardando le foto, sembra d’essere immersi in quella polvere, di avere i calzari pieni
di terra e la storia sembra passarti dinanzi agli occhi.
La regione
è proprio quella del Tigray, che dà il nome alla mostra, a Nord dell’Etiopia dove terra significa sopravvivenza e
sacro e umano coesistono senza aver differenza tra cielo e terra.
Nonostante
conquiste, battaglie, marce e combattimenti, tutto è rimasto immobile: nulla è
riuscito a colonizzare il cuore di quella gente.
E cosa è
una foto se non un ponte a doppio arco tra il proprio occhio, la luce e il
cuore?
È proprio
al centro del petto che pende la chiave di una delle cinque donne raffigurate
quasi in serie.
Gli occhi
bambini della ragazza grandi, luminosi, intrisi di lucenti lacrime, diventano
sempre più strette feritoie nella donna anziana.
S’avvicendano
generazioni, sempre più si aggrottano le fronti e la pelle si fa sempre più
rugosa di vita.
Così vere,
meravigliosi specchi della presenza di Dio in tutte le creature, anche dove è
il sole a battere per più tempo.
L’Africa è
qui, siamo noi, lo è sulla nostra pelle.
La mostra è
visitabile fino al 29 novembre 2013
Officine culturali di Bitonto (Bari)
Orario visita: dal lunedi al venerdi
dalle 9 alle 21. Ingresso libero
Mediapartner: ilsitodell’arte