È mercoledì 4 settembre e
sono da poche scoccate le undici. Nell’ufficio postale di Mariotto scoppia una
polemica.
Si scontrano da un lato
l’ottusità di un signore, dall’altro lo sportellista che cerca di esprimersi con
diplomazia.
“So pèrse ù librett e soup tèneive quàttecinde eure”, spiega il
cliente all’impiegato, dopo aver rigorosamente oltrepassato tutti gli altri
utenti. Probabilmente, a una certa età, anche lo spreco di un singolo e
insignificante minuto pesa come un macigno sul cuore.
“Guardi che qui, sul computer, non risulta nessun altro libretto a suo
nome”, si affretta a rispondere lo sportellista, con la voce paziente di un
figlio.
Ma niente da fare. Il
cliente sbraita, batte i pugni sulle gambe e impreca contro tutti i santi del
paradiso. E, dal canto loro, i mariottani che fanno la fila si esasperano e
polemizzano contro l’inefficienza del servizio, al punto tale che si rende
necessario l’intervento un po’ più risoluto del direttore.
Sono mesi ormai che tra le
mura scrostate dell’ufficio postale di Mariotto se ne vedono delle belle. Tanto
che, varcandone la soglia, si ha quasi la sensazione di essere in un mercato
rionale di una borgata romana, piuttosto che in un ufficio pubblico.
Talvolta, si avvicendano
agli sportelli volti che ricordano i personaggi del neorealismo pasoliniano,
con le gote striate dagli anni e gli occhi smarriti in un ricordo alato. Sono
gli anziani di Mariotto che, abbandonati a sé stessi da figli troppo
affaccendati, reclamano nei primi giorni di ogni mese la loro pensione,
stringendo tra le mani un fascio di fogli di cui ignorano il contenuto.
E fanno pure la voce
grossa con gli impiegati, poiché si ritrovano a inseguire un mondo che cambia
in fretta con un passo azzoppato e una mente sfilacciata. Ma, forse, andrebbero
semplicemente seguiti in famiglia e amati di più.
Altre volte, invece
-questo è senza dubbio più grave- a determinare un ritardo nel servizio è
l’insolenza di alcuni clienti, la presunzione di saperne più degli addetti ai
lavori, la diffidenza, la maleducazione, la voglia di raggirare gli altri.
“Ne vedème alle dù, t’aspettèche d’effoùre”, minaccia un altro
cliente all’impiegato, sempre nella stessa giornata.
Dunque, un’altra incomprensione
che questa volta sfocia in urla e intimidazioni contro la persona, con un
comportamento violento non molto dissimile da quello dei delinquenti che stanno
mettendo a soqquadro Bitonto. Segnale, questo, di un atteggiamento arrogante e
malavitoso che si sta diffondendo in tutti gli strati della società.
E invece -torniamo a
ripeterlo- la legalità non è un concetto, ma un modus vivendi che si esprime nei piccoli gesti di ogni giorno.
Vale a dire, nel rispetto
delle regole di un luogo, nel mantenere un comportamento paziente e non
violento e, persino, nel saper spiegare le proprie ragioni senza sbraitare
inutilmente.