La coppia è quella classica teutonica.
Lui vestito
senz’alcuna eleganza e lei pure, guida variopinta di tra le mani. Cercano di
capire che particolarità del fregio del portale sia quella cosa nera lì.
Siamo nell’antica via
Mercanti, l’ombra dell’arco del Catapano disegna sulle chianche una curva pietosa contro il
dardeggiare rovente del sole.
Al civico 17 – non poteva essere altrimenti,numerus omen – si schiude dinanzi ai loro occhi la struggente e meravigliosa architettura
della Chiesa del Purgatorio.
La cui facciata, lo rimarchiamo ancora una volta, anche se molti
sono in disaccordo, è stata sbianchettata con eccessiva cura qualche anno fa,
fino all’obbrobrio dell’inchiostro usato per meglio evidenziare le scritte
incise. Ma questo è un altro discorso che già ci ha meritato altri massacri.
Dunque.
Mano affondata nella barba rossiccia, l’uomo che viene da chissà quale città
della lontana Germania è perplesso.
Un vecchietto di passaggio, fieramente indigeno nei pantaloni di
fustagno indossati ad agosto, occhi sorridenti dietro lenti spesse e
obnubilanti, sardonico osserva: “Avessa iess nu palumm, sckitt ca iei nu palumm
streun, nan s mouv mei da dà”.
Il bassorilievo dello scheletro con la falce che
promette di mietere le nostre vite non è riuscito ad artigliare quel pezzo di
pneumatico che sporge ammiccante da quel cornicione.
Ora, prima che grandini sul sottoscritto
qualsiasi maligna frecciata – sempre ben accetta, per carità –, mi preme
sottolineare che non vi è alcuna volontà di accusare nessuno, se non l’endemica
inciviltà bitontina.
Visto che l’anziano, accomiatandosi, mi ricorda con
dolorosa premura: “Mo so du mois e la sciond cà stei dà sius”.
Vi prego,
toglietelo perché è una vergogna che sia arrivato lì ed è una vergogna ancora più indicibile che ancora resista. Abbiamo aspettato a lungo (e invano) che
qualcuno lo facesse, prima di scrivere oggi.
Tutto qui.
Anche se il sindaco, volendo, con
la sua sterminata altezza, una manina la poteva allungare sin lassù…