Il racconto della vicenda di una bambina abbandonata da una madre pazza nel letto
fangoso di un fiume – denutrita, con i capelli rasati e la testa sanguinante –
fa orrore e allo stesso tempo coinvolge. All’inizio si va avanti a fatica.
Lunghe descrizioni, digressioni che mostrano una
visione sfocata tra realtà, sogni, fantasie e psicosi, conducono il lettore
nella vita di MR: questo è il nome – neutro e asessuato – che Meredith
Neukirchen usa per firmare i suoi articoli e i documenti che fanno parte della
sua sfera lavorativa. Prima donna ad essere diventata Rettore di una famosa
università statunitense, affermata e ricercata in pubblico, Meredith ha in
realtà una vita incompleta, come se stesse attraversando un percorso che non è
stato tracciato da lei, ma che altri hanno scelto. Del resto lei è la bambina
abbandonata, la donna del fango, e del fango che le riempiva la bocca sulla
riva del Blake Snake River sente ancora il sapore. Quando il passato e il
presente si scontrano, si viene risucchiati insieme a MR in un vortice di
follia e disperazione. Per fortuna, poi seguirà una lenta risalita verso la vita.
La protagonista,
guardando dentro di sé, imparerà che cosa significa diventare adulta e padrona
della propria vita. “È meglio non
ricordare, mia cara Meredith! Questo significa crescere” – le dirà suo
padre adottivo. Un monito
ad andare avanti rivolto a un’intera generazione di americani, quella
dell’11 settembre, che ritorna in questo libro tra i molti argomenti di
interesse generale che Joyce Carol Oates dissemina tra le
pagine. E chi legge “cresce” con Meredith, attraverso parole che si
attaccano alla mente come colla e danno la sensazione che qualche detrito di
questa storia ci rimarrà addosso.