Questa
è la storia di Anna, giovane donna che risiede a Milano da 8 anni.
Prima
di trasferirsi per lavoro ha lasciato a Bitonto sua figlia, di 4 mesi, chiudendo
disastrosamente la sua situazione coniugale. La bimba è cresciuta coi nonni,
incontra la madre ogni 3 mesi, si lascia viziare quando si rivedono con gonne e
gelati.
Mi racconta che avrebbe voluto
portare ogni giorno della sua vita sua figlia su con lei, ma una costante ha sempre fatto attrito con
la sua volontà: la paura.
Non voleva sradicarla da un conforto familiare
stabile, da una casa sicura, da un luogo dell’anima. Dapprima era troppo
piccola per farla trasferire, poi altre ragioni si sono aggiunte impedendole di
fare il passo decisivo. Il volto le si oscura quando deve mettere a nudo le sue
preoccupazioni, ma i suoi occhi rivelano gioia mentre parla di sua figlia. “Quando è venuta a trovarmi ha sofferto di
attacchi di insonnia, era in ansia, non riusciva ad ambientarsi ai ritmi
frenetici, così ho sempre desistito dal portarla via con me”.
Maledetta quella paura che ci fa proseguire secondo
il moto rettilineo uniforme. Il corpo
tende a conservarsi, a mantenere uno stato di cose ben consolidato, a non voler
cambiare, a non voler rischiare.
Più facile minimizzare i problemi, lasciarne i
contorni indefiniti, perché a noi, dare un nome alle cose, spaventa sempre.
Si dovrebbe ammettere che ciò che speriamo è
che le cose si aggiustino da sole, che ci sia un deus ex machina risolutivo. La
verità è che nessuno viene a salvarci se non cominciamo a fermarci dalla corsa che ci inghiottisce. Forse dovremmo proprio arrestarci e chiederci:“Dove sto andando? Da cosa sto fuggendo? E fuggendo, cosa mi attende se non l’incontro
con me stesso?”
È
sempre là il nostro Io, noi corriamo, rincorriamo falsi miti e soluzioni; lui è
fermo, aspetta che ci stanchiamo. Poi, col garbo di un signore che non si è affatto
scomposto, si avvicina e ci ripone le stesse domande alle quali, alla fine, esausti non possiamo sottrarci.
Forse dovremmo
fermarci davvero. Questo tempo ci sta inseguendo, il passato ci perseguita,
inciampiamo nel futuro, il presente credo non esista.
Forse bisognerebbe prendere fiato, piegati con
le mani sulle ginocchia, guardare col respiro ansimante a terra e capire, cribbio.
Abbiamo
paura di restare soli, di non avere successo nelle nostre iniziative, di non
avere l’ approvazione altrui, di non essere all’altezza, di essere rifiutati,
di deludere, di fallire, di perdere chi si ama. Abbiamo paura persino di
risplendere per il nostro talento, perché temiamo di non essere capiti.
Cheimpostore la paura: sempre in agguato, pronta a braccare alle
spalle e spaventare, poi assume le
sembianze amiche della prudenza, conforta con una pacca sulla spalla e offre facili distrazioni come l’alcool, le compagnie superficiali, le realtà virtuali.
“Sono
arrabbiata, per me questa situazione è un vicolo cieco”.
La
paura partorisce quasi sempre la rabbia. Ci infuriamo, con noi stessi prima di
tutto perché vorremmo uscirne, vorremmo
avere quello scatto di vitalità risolutivo, anziché logorarci nelle false partenze. E invece ci ritroviamo in percorsi già
segnati, in pensieri triti e ritriti, ci chiudiamo in circoli viziosi da
nausea. Sappiamo che le argomentazioni
che offre sono dei semplici palliativi,
ma ci facciamo ammansire come cani d’addestramento, e intanto restiamo
impantanati nel fango dell’inazione. Aborriamo tanto la pusillanimità, ma a volte
ci appartiene più del nostro nome.
La realtà è che bisognerebbe restare in
silenzio per ascoltarsi, per permettere alla voce interiore di emergere. “BISOGNA DIVENTARE SE STESSI PER
AFFRONTARSI” (Changes, David Bowie)
Di
fronte ad ogni cambio di rotta, piccolo o grosso che sia, dovremmo saper fluire come sanno fare le onde del mare, non essere i
sassi che si lasciano levigare sulla riva.
“Ho
ritenuto prioritarie le ragioni di mia figlia, prendevo le sue difese per non
turbarla, la verità è che non avevo
il coraggio di stravolgere ancora la mia vita, dopo averla persa una volta, e
di restarci male qualora lei non avesse voluto restare qui con me a Milano”.
Non
so cosa abbia deciso alla fine questa donna. La sua scelta non mi riguarda.
Certo
è che di fronte a un cambiamento,
stravolgente o meno, credo sia il caso di fare un respiro profondo, guardarsi
allo specchio con le braccia poggiate ai bordi del lavandino, affrontarsi
appunto. E’ il momento di abbracciare la
paura, svestirci degli alibi che ci stonano per settimane, mesi , anni e incarnare quello che Mannarino fa dire ad un bambino nella sua Vivere la vita:
“Puoi cambiare camicia se ne hai
voglia
E se hai fiducia puoi cambiare scarpe.
Se hai scarpe nuove puoi cambiare strada
E cambiando strada puoi cambiare idee
E con le idee puoi cambiare il mondo.
Ma il mondo non cambia spesso
Allora la tua vera Rivoluzione sarà cambiare te stesso!”