Lucia, madre e nonna, è stata strappata alla vita da oltre venti fendenti.
Un femminicidio feroce, spietato. E chissà se anche questa volta qualcuno dirà, come per Filippo Turetta, che si è trattato di “inesperienza”.
Non possiamo accettarlo.
Quei colpi – venti, forse più – dovremmo sentirli sulla nostra pelle. Uno ad uno.
Dovremmo imparare a riconoscere i segnali, a non minimizzare, a tendere la mano.
Per non chiuderci nel nostro piccolo mondo e ignorare le crepe nelle vite degli altri.
In queste ore, ho pensato a donne che conosco bene e che stanno affrontando la loro personale croce.
Lottano in silenzio. E vorrei stringerle forte in in abbraccio, anche solo con il pensiero.
E poi ci sono quelle ferite che si infliggono con le parole, con l’odio gratuito che circola sui social come una lama invisibile.
Sembra che tutte queste sofferenze siano come le cento candele che ieri sera circondavano l’Addolorata. Consumate. Spente. Senza forze.
Ma nel buio restavano poche fiammelle accese.
I portatori le guardavano con devozione, e nel loro passo c’era la promessa di non lasciarle morire.
Che la Madonna ci aiuti a custodire quella luce.
E che gli uomini – i nostri padri, fratelli, compagni, amici – possano essere come quei portatori: sostegno, non peso.
Valore, non minaccia.
Presenze che ci arricchiscono e ci fanno fiorire, non “recisi fiori, ricoperti di dolore”.
Perché la speranza, quella piccola fiamma fragile, è l’unica cosa che non deve spegnersi mai.
MAdre