«Quando, anche a Bitonto, ci sarà un monumento dedicato ai lavoratori della terra, quei contadini, che hanno sofferto la fame, sacrificandosi per i loro figli, ma permettendo loro di proseguire negli studi e porre le basi per quel benessere economico di cui oggi possiamo beneficiare?».
È il desiderio di Michele De Palma, che nei giorni scorsi ha presentato a Bitonto il suo romanzo “Il paese delle mandorle”, ospitato dall’Università della Terza Età, nella Sala Polifunzionale della Fondazione Santi Medici. Dialogando con il giornalista Marino Pagano e con la docente Angela Scolamacchia, De Palma ha sottolineato l’importanza di rendere omaggio ai contadini perché, con la loro vita sobria, piena di rinunce, hanno dato ai loro figli e nipoti quelle cose essenziali che loro non hanno mai potuto avere, trasmettendo al tempo stesso «principi come l’onestà, il valore del lavoro, i valori della generosità, dell’amicizia e dell’ospitalità.
«Pur senza cadere nella retorica della nostalgia, del “si stava meglio quando si stava peggio” – chiarisce – c’è da sottolineare che, nonostante la povertà e le tante fatiche, l’agricoltura ha posto le basi per il nostro benessere, costruendo anche una idea di comunità che faceva pesare di meno le ristrettezze economiche. Noi bambini eravamo poveri ma non ce ne rendevamo conto».
Una idea di comunità che, con la modernità, si è erosa, secondo l’autore, cancellando un modo di vivere dalle radici profonde.
Lo stesso romanzo, ambientato nella Mariotto degli anni ’60, è un grande omaggio alla vita nella frazione bitontina a quei tempi, quando l’autore, allora bambino, partecipava a quel grande rito collettivo che era la raccolta delle mandorle. A lui, come a tutti i ragazzi, era affidato il compito di raccogliere le mandorle che cadevano fuori dal telo, mentre le donne avevano il successivo onere della pulitura. Agli anziani, infine, spettava controllare le mandorle che erano lasciate sui marciapiedi per asciugare sotto il sole.
«Il mio libro parte dalla storia d’amore tra i due protagonisti, un contadino e la figlia di un proprietario terreno, per raccontare tutto questo e per rendere un piccolo omaggio alla civiltà contadina» conclude Depalma.