“Vedi Napoli e poi muori!’ dicono qui”, annotò il Goethe, entusiasta e meravigliato dell’incomparabile bellezza di Napoli nella seconda metà del Settecento. Riportando quell’espressione popolare, egli non esprimeva un giudizio personale ma condivideva un modo di dire piuttosto diffuso all’epoca, che taluni ricollegavano ad un presunto sospirare dei condannati a morte, mentre attraversavano la città fino al patibolo.
Spiegazione che non regge in quanto un napoletano non poteva “vedere” (nel senso di “ammirare”) la sua città solo nel momento dell’addio definitivo. Torniamo, però, al poeta tedesco, che aveva soggiornato nella città partenopea per un bel po’, visitandola in lungo e in largo.
E certamente ne conosceva l’altro nome, quello più aulico, Partenope, che Virgilio aveva contribuito a diffondere, attingendo alla mitologia greca. Partenope, infatti, era una delle sirene, che incantavano i marinai facendoli sfracellare sulla loro isoletta (forse, una delle attuali Eolie). Dopo che Ulisse era uscito indenne dal loro raggio d’azione, addirittura insieme a tutto il suo equipaggio, come narra Omero nel libro XII dell’Odissea, le sirene si erano suicidate per la disperazione ed i loro corpi erano stati spinti dalle onde in tre punti diversi della costa tirrenica meridionale (quella magno – greca): Ligea a Terina, in Calabria, Leucosia a Poseidonia, nel Cilento, Partenope alla foce del Sebeto, in Campania.
Proprio qui era stato costruito un monumento funebre in ricordo della sirena morta, presso il quale, sul finire dell’VIII sec. a. C., venne fondata una colonia greca, Partenope, che, circa due secoli dopo, i Cumani rifondarono col nome di Neapolis, “città nuova”, appunto. Dove nel I sec. a. C., non si sa per qual motivo fu seppellito Virgilio, che pure era morto a Brindisi ed aveva un nome (“il verginello”) che suggestivamente rinviava a Partenope,“colei che ha aspetto di vergine”, e quindi a Napoli. Poiché, come Virgilio, anche Leopardi è sepolto a Napoli, è scontato pensare che il fascino maledetto di una sirena, causa della morte di chi la vede, aleggi anche nell’espressione “vedi Napoli (Partenope)”, cioè “sii stordito dalla bellezza di una sirena“, tanto da lasciarti morire.
Insomma, una Napoli bella da morire… verrebbe da dire. Ma noi crediamo che l’origine del famoso detto si trovi nel passo sopra citato di Goethe. Che riesaminiamo contestualizzandolo: nella lettera da Napoli, datata 2 marzo 1787 e scritta dopo una attenta ma, forse, deludente visita sul Vesuvio avvenuta quella mattina, Goethe afferma: […] Della posizione della città e delle sue meraviglie tanto spesso descritte e decantate, non farò motto. “Vedi Napoli e poi muori!” dicono qui. “Siehe Neapel und stirb!”, in tedesco: l’esclamativo conferma il valore dei due imperativi, che però suonano come un invito, cortese ma fermo rivolto al forestiero.
La precisazione seguente (“dicono qui”) ribadisce che quell’invito è piuttosto diffuso e, alle orecchie del Goethe, suona un po’ provocatorio e gli rivela, a nostro avviso, un malcelato orgoglio cittadino dei Napoletani. Che si spiega con la fama di Napoli nei secoli XV – XIX, ritenuta da più di un autore straniero “la città più bella dell’universo” (Stendhal nel 1817). Molto probabilmente la consapevolezza molto diffusa di questa inconfutabile bellezza spinge gli abitanti della città partenopea a presentarla al forestiero come ammaliatrice (“vedi”) e maledetta (“muori”), creando una densa carica di malinconia e di nostalgia. Che, ancor oggi, ci investono; purtroppo, solo quando apprendiamo del suo inarrestabile degrado.