La devozione alla Vergine Addolorata, il più diffuso dei culti mariani, si celebra ogni anno il 15 Settembre, nel giorno successivo a quello della celebrazione dell’Esaltazione della Croce, da quando Papa Pio VII nel 1814 introdusse tale data nel calendario liturgico romano e Papa Pio X (1904-1914) la fissò definitivamente. Il culto della Beata Vergine Maria Addolorata e i dei suoi “Sette Dolori”, tuttavia, esisteva già dalla fine dell’XI sec.
Nella Frazione di Mariotto, questa devozione risale almeno agli inizi dell’Ottocento, quando ancora non c’era l’attuale chiesa dedicata a Maria SS.ma Addolorata, ma solo una vecchia cappella di campagna. Da alcune notizie tratte da “Mariotto, territorio e società”, di Damiano Pasculli, si apprende che la nuova chiesa di Mariotto dedicata al culto dell’Addolorata, la cui prima pietra fu posata e benedetta nel 1897 dal vescovo De Stefano, fu fortemente voluta dai mariottani, i quali contribuirono con offerte volontarie che andavano dalla prestazione di giornate lavorative gratuite al contributo in denaro, che, a seconda della condizione economica, variava dai 5 centesimi alle 2 lire. Erano gli anni in cui si registrò a Mariotto un forte incremento demografico, per lo più determinato dalla presenza di contadini provenienti da Terlizzi che vivevano l’amarezza dell’abbandono del proprio paese mista alla fiducia di poterci prima o poi tornare. All’epoca, infatti, anche una distanza di poco più di dieci km, non era facilmente colmabile, dati i mezzi di trasporto esistenti, per cui spesso si finiva per trasferirsi stabilmente in un altro paese.
L’idea della Passione della Vergine associata a quella del Figlio è molto presente in tanta mistica medievale e nella devozione dei giorni nostri, che non separa mai, nel culto e nella sensibilità, la Madre dal Figlio.
Venendo ad oggi, ci si chiede quale sia il senso, o addirittura se ve ne sia uno, da dare alla festa della patrona, ai riti collettivi di cui si veste le fede, a quelle manifestazioni di fervida devozione che pare abbiano ceduto il loro naturale spazio, specie nelle grandi realtà urbane, a cose come “le esigenze del traffico” che spesso prevalgono sull’intimità della pietà popolare che prende corpo in una processione. La sensazione che il lento continuo inesorabile (e moderno) adattare il Cristo al secolo, il sacro al profano, abbia preso piede nelle grandi città, è molto forte.
Se ne è parlato con don Francesco Ardito, parroco a Mariotto, impegnato da diversi giorni con il Comitato Feste ad organizzare i festeggiamenti in onore di Maria SS.ma Addolorata nella Frazione bitontina.
Perché continuare a vivere la festa patronale?
« Non è solo per tramandare la tradizione di cui siamo chiamati a prendere i suoi valori ai fini dell’inculturazione delle forme nel contesto attuale. La festa ricorda all’uomo che il suo destino non è la fatica e il dolore ma è la gioia con Dio. In tal senso festeggiare è come anticipare la festa senza fine della Resurrezione.
Un altro valore che recuperiamo dalla tradizione è quello della comunità: non si fa festa da soli ma insieme ed è importante in un tempo in cui l’individualismo è sempre più dilagante, proporre e vivere momenti comunitari, soprattutto attorno ad alcune categorie di persone, gli ammalati e i ragazzi.
Infine, la festa patronale ci aiuta a sperimentare la bellezza del vivere insieme la fede. Anche questo non è un fatto personale, tra me e Dio, ma ha una valenza comunitaria e sociale. Dio ci chiama come popolo a seguirlo e ci chiede di metterci al servizio del bene di tutti ».
Qual è il filo conduttore di quest’anno?
« Il tema che ci accompagna quest’anno è: “Con Maria accanto”, e sarà declinato ogni giorno in un modo diverso, con Maria accanto ai fragili, accanto ai giovani, accanto alla Chiesa, con Maria accanto alla Croce. Maria Addolorata è la testimonianza di chi non fugge di fronte alle difficoltà, ma resta accanto al Cristo che muore, accanto alla Chiesa che soffre per la morte di Cristo. Giovanni, Maria Maddalena, che con Lei stanno sotto la Croce: è uno stare lì per sostenere, per incoraggiare ».
Quale riflessione generale si può fare?
« Quest’anno vogliamo riflettere, insieme a tutta la Chiesa mondiale, sull’importanza dell’essere ministeriali. Come cristiani e come comunità, dunque, siamo chiamati a metterci al servizio, potendo, ciascuno, fare tanto per il bene della Chiesa nel mondo. Ciò non significa disattendere gli impegni e le responsabilità personali, ma a volte si dimentica che insieme possiamo aiutarci a vivere bene la responsabilità sul lavoro, in famiglia. La Chiesa non allontana dalla vita quotidiana ma aiuta a viverla, e quindi potersi incontrare, poter condividere, e confrontarsi sono attività importanti per poter fare tutto questo insieme. Una comunità non la costruisce il parroco ma la disponibilità di tutti, ognuno secondo le sue possibilità. Da Maria vogliamo prendere questo suo aspetto: l’essersi messa al servizio di Dio e della Chiesa.
In un tempo nel quale sono tanti i segnali di disagio sociale, di violenza, di smarrimento che si vedono a livello locale e anche su più vasta scala, si comprende bene come tali difficoltà non si possano affrontare da soli ma stando insieme, lavorando insieme, servendo insieme il popolo di Dio ».
Si parla di un ospite particolarmente gradito.
« Quest’anno ci sarà la bella sorpresa della presenza di Padre Aldo Nespoli che accompagnerà tutto il tempo della festa e per molti sarà l’occasione per tornare un po’ alle radici, ad una storia importante che Mariotto ha vissuto con lui e con tutta la comunità dei Betharramiti: è un tornare alle radici, non per nostalgia ma per riprendere con slancio quelle sfide che la Chiesa e il mondo ci pongono innanzi.
Come sempre, ci saranno due messe in piazza che permetteranno di vivere la preparazione in modo più corale, comunitario. Non si potrà, invece, celebrare in piazza nel giorno della festa poiché in quel giorno ci sarà la processione per le vie del paese. L’auspicio è che ci sia la partecipazione di tutti, così come molti hanno già mostrato di fare contribuendo con la loro personale offerta alla festa patronale, con la propria preghiera e con il proprio impegno, perché questa festa possa essere un momento bello per tutti ».
Don Francesco insiste dunque sul tasto della partecipazione popolare e sulla processione come momento, intimo e collettivo ad un tempo, di fede e popolarità in cui, secondo la dottrina cristiana, vengono generate le Tre Persone nell’unica Sostanza divina. Non c’è nulla d’irrazionale in tale profondità, nel rituale accompagnare il simbolo sacro camminando, e condividendo “nel cammino” l’esperienza di fede.
In fondo, l’unico compito della ragione, diceva Bloy, è quello di credere, poiché credere è sapere, sapere in alto…
(nella foto in alto, il programma completo, civile e liturgico, della Festa)