«”Vi voglio bene”, lo diceva sempre. Una frase forse sottostimata, ma la più bella che può dire una persona a un altro uomo, che racchiude tutto l’amore che Vito, in quel momento, ci voleva trasmettere. E allora oggi lo diciamo noi: “Ti vogliamo bene, fatti dare un bacio, da noi tutti».
Medici, infermieri, operatori socio sanitari, si sono abbracciati nella Cattedrale di Bitonto per dare il loro ultimo saluto al loro primario, Vito Procacci, prematuramente scomparso il 22 agosto scorso.
«Ci ricordava sempre – ha detto il viceprimario, Francesco Incatalupo -, che con le lacrime non si risolve nulla, ma almeno per oggi concedici l’odiato “muro del pianto”. Vito non cavalcava le nostre paure, non gonfiava la nostra rabbia: arrabbiarci, litigare, ci distoglieva dal disegno più grande. Quando un conflitto era inevitabile, riusciva a trasformarlo in un confronto: “puntare il dito ci nasconde solo la luna che vogliamo indicare”, diceva, perché vedeva anche nelle difficoltà delle opportunità. Ci ha lasciato la scia luminosa e preziosa della gioia di vivere, della speranza negli uomini».
Incantalupo ha ricordato quanto Procacci fosse «un uomo eccellente, un capo eccezionale, un amico buono, attento e leale e, in questo momento, vorrebbe che fossimo pieni di energie e speranze. Se oggi si potesse guardare attorno, ci direbbe: “Ma al pronto soccorso, chi sta?”. Per lui era la vita».
Procacci amava soprattutto i giovani: «Dava loro fiducia anche quando nessuno ci credeva. Ha avuto ragione: la sua visione ha superato le nostre perplessità. Ci lascia smarriti, ma ci lascia anche una squadra costruita, pezzo per pezzo, con i professionisti che lui definiva “i primari del domani”. Sono loro il nostro futuro, il futuro della medicina d’urgenza, che lui definiva “la più bella del mondo”».
E conclude: «Di te, Vito, rimarrà il rispetto per i pazienti, la speranza in noi stessi e l’orgoglio di essere squadra». Una squadra composta da tanti elementi, anche da chi simpaticamente definiva il suo “Baby sitter”.
Si tratta del segretario Vito Mattinelli: «In quella nostra stanza che oggi vedo vuota, piena di suoi appunti e carte, abbiamo condiviso preoccupazioni, gioie, progetti e mi ha fatto diventare un punto di riferimento per il reparto. L’amore più grande era per i figli, Ettore e Carmen: ogni volta che suonava il telefono, gli si illuminavano gli occhi. Condividevamo insieme la devozione per l’Addolorata, per cui la nostra festa era il triduo pasquale: sono credente e sono sicuro che lui non sarà mai una foto sul comodino o su una lapide, sarà sempre vivo nel cuore delle persone che lo ameranno per sempre».
«Sei stato un maestro – ha concluso il coordinatore, Antonio Mangialardi -. Il tuo essere uomo e medico sono un dono per chi ha avuto la fortuna di incrociare la tua strada».