DI ANGELO PALMIERI, SOCIOLOGO
La controversia sulla cittadinanza, tradizionalmente focalizzata su due posizioni opposte, ius soli e ius sanguinis, ormai da diversi anni è problema ampiamente dibattuto in seno al Parlamento Italiano. E nella dialettica non sempre fertile si è aggiunto un terzo incomodo, ovvero una terza via, quella dello ius culturae.
Fatto, quest’ultimo, che può essere conciliatorio tra chi ritiene che cittadini si diventi per eredità dai propri genitori (ius sanguinis) e chi si dice convinto che basterebbe essere nati nel territorio di uno Stato (ius soli).
Di tale percorso si sono proposti padri adottivi non pochi politici appartenenti a diversi schieramenti. Sintagmi di ius culturae, infatti, sono stati presentati in svariate formulazioni di proposte legislative da parte di esponenti sia di sinistra e sia di destra. Ma a ben riflettere il vero problema verte sulla inderogabile necessità di avere di mira il tema delle seconde generazioni, ossia di dover riconoscere la cittadinanza a migliaia di ragazze e ragazzi che, se pur figli di stranieri, sono nati e/o cresciuti in Italia.
A dire il vero non sono mancate voci critiche rispetto allo ius culturae, considerato una soluzione di ripiego rispetto al vero obiettivo che permane sempre quello dello ius soli.
È necessario riflettere più profondamente su cosa debba intendersi per ius culturae, al fine di poter meglio valutare le diverse argomentazioni politiche che costituiscono il focus del dibattito tra ius soli e ius culturae.
Da un punto di vista squisitamente giuridico, lo ius culturae presume un diretto collegamento tra l’essere cittadino e l’agire concreto del diretto interessato. Ciò che caratterizza infatti l’acquisizione del diritto alla cittadinanza non può rapportarsi al subire passivamente una condizione esterna che non dipende dal soggetto interessato (il luogo in cui nasce o la nazionalità dei suoi genitori), bensì deve essere riferito alla sua capacità di essere attivo protagonista di un’azione culturale che veda nello specifico il soggetto referente interessato ad acquisire in maniera completiva quegli elementi culturali indispensabili per essere un attivo protagonista della vita socio-politico-culturale del paese prescelto come propria stabile dimora.
Va da sé, quindi, che impostata in questi termini, la riflessione caratterizzante il dualismo ius soli e ius culturae, l’elemento determinante sarà dato dalla positiva volontà di instaurare un fecondo rapporto tra la cittadinanza e il concetto di integrazione.
Non si può non evidenziare che tutto questo dovrà necessariamente avere come fondamento la coesistenza di tre aspetti. Studiare in un determinato paese comporta chiaramente assorbirne la cultura, integrarsi e divenire meritevoli di essere considerati cittadini. Da questa angolatura, la cittadinanza diventa veramente un “premio” concesso dallo Stato a quei gentili, per usare un’espressione cara al linguaggio paolino, pienamente integrati.
È doveroso, pertanto, affermare che nella nostra Europa lo ius culturae non esiste. Siamo da sempre tradizionalmente legati allo ius sanguinis, sin dai tempi della Rivoluzione francese in poi. Quel che è certo nessuno stato ha mai espressamente codificato lo ius culturae. Ne consegue che, se la discussione in Italia giungesse a buon fine, potrebbe trattarsi del primo Paese europeo a scegliere tale diritto come regola per riconoscere nuovi cittadini.
E questo non può non essere un auspicio da condividere nella forma più larga possibile atteso che nell’ambito di un mondo sempre più globalizzato il crescente afflusso di immigrati pone la nostra società di fronte a problematiche che assumono ogni giorno maggiore rilievo. Occorre seriamente pensare all’inserimento nella società delle seconde generazioni, i figli degli immigrati nati e cresciuti in Italia che domandano il riconoscimento dei loro diritti. È innegabile ormai che la cittadinanza assuma sempre più un ruolo cruciale, poiché da sempre è il simbolo dell’appartenenza ad una comunità e lo strumento che permette di detenere i diritti specifici dei cittadini oltre che doveri.