DI VINCENZO ABBATANTUONO
Quando eravamo bambini, questa città era più umana, ti accarezzava con meno irruenza, forse era addirittura perfetta o rasentava la perfezione.
Oggi, mi sono sorpreso a ricordare lo spettacolo dei burattini su quella piazza che ancora oggi si chiama “la manica della frissola”, il manico della padella.
Mio nonno Vincenzo mi prendeva per mano nel pomeriggio inoltrato e mi ci portava silenzioso e rassicurante, perché da mio nonno non ho certamente ereditato la scarsa loquacità.
Attraversando il corso il nonno si toccava la coppola per salutare, stringendomi forte con la mano callosa di chi aveva brandito la zappa e le redini dei suoi amati cavalli.
Poi, arrivati in piazza, con quegli splendidi occhi cerulei mi invitava a sedermi per terra con gli altri bambini, tutti entusiasti di assistere alle avventure di Orlando, del suo folle amore per Angelica e dei saraceni di Agramante.
Erano ore che grondavano emozioni indimenticabili, tutti schierati con i paladini di Carlo Magno, noi bambini di Bitonto, sui nostri cavalli immaginari e immaginando avventure oltre quell’orizzonte sconfinato di uliveti in cui terminava la nostra piccola città, il nostro piccolo mondo antico.
Ho imparato ad amare la Letteratura da mio nonno analfabeta che, sono sicuro, era impaziente quanto me di sussultare per Orlando e i suoi valorosi guerrieri.