«Cosa dovremmo dire alle forze dell’ordine? Nonostante le operazioni, gli arresti, i controlli, in città si continua a spacciare perché c’è chi acquista: dai giovani fino agli insospettabili. Denunciare? Significa imbattersi in un “sistema” che non tutela; perché dovremmo rischiare la vita? L’unica cosa che si fa è creare profili fake sui social, commentare sotto i giornali online, sperando che qualcuno legga e proceda “d’iniziativa”».
È la confessione di una cittadina, residente nel centro storico di Bitonto, in quella rete intricata di vicoli dove, nonostante siano passati sei anni dalla morte dell’innocente Anna Rosa Tarantino, si respira una sorta di “convivenza” col malaffare.
I fatti degli ultimi giorni hanno fatto ripiombare tutti nella paura: «Una sparatoria su via Crocifisso, in centro, in una strada trafficata – dice un’altra persona –. E se si fosse trovato qualcuno? Se quel proiettile avesse colpito un bambino? È dal 2013 che facciamo i conti con gli spari ad altezza d’uomo, quando ragazzini di appena 17 anni esplosero colpi in piazza Partigiani e un proiettile si conficcò nella vetrina di un’attività commerciale. Quello stesso ragazzo tenne in pugno la pistola da cui furono esplosi i colpi che uccisero la signora Tarantino. Tranne le instancabili cooperative che operano sul territorio, non siamo riusciti a mettere su un presidio di Libera laborioso».
Ciò che si può fare è «continuare a educare i ragazzi alla legalità, non facendoci inquietare e scoraggiare da questi episodi», ha commentato don Fabio Carbonara, della chiesa del Crocifisso, centro a 50 metri dal luogo dell’ultima sparatoria: «Oltre ai colpi in aria, dobbiamo cogliere anche i lampi di speranza».
Per il sociologo Damiano Maggio: «La città non può permettersi di restare in balia della criminalità: ha bisogno di un cambio di paradigma nella gestione della sicurezza e del disordine urbano. È giunto il tempo che le autorità locali riconoscano la necessità di un cambiamento radicale, adottando misure che vadano oltre la semplice reazione agli episodi di violenza e che affrontino le cause profonde».
Propone «la presenza della polizia a piedi nei quartieri», che aumenta «la sensazione di sicurezza dei residenti, scoraggiando la presenza dei cosiddetti “disorderly people”, possibile causa di quella microcriminalità, spesso neppure denunciata, che non entra nelle statistiche dei crimini ma che tanto disturbo procura alla gente comune e all’immagine del paese».
Secondo Maggio bisognerebbe attuare «il recupero urbano dei quartieri, la presenza di attività e di vita, la sorveglianza spontanea da parte della comunità, la presenza delle forze dell’ordine e dei vigili di quartiere».
Anche Michele Abbaticchio, ex sindaco di Bitonto e vicepresidente nazionale di Avviso Pubblico, spiega come bisognerebbe, specie al Sud, «parametrare il numero delle forze dell’ordine non alla densità di popolazione abitativa, ma all’estensione territoriale: una città come Bitonto pagherà sempre lo scotto di avere un contingente non adeguato, estendendosi su una superficie di 172,9 km², maggiore del capoluogo ma con una popolazione inferiore. Così il territorio diventa base privilegiata per le organizzazioni criminali».
E conclude: «Le politiche regionali e locali devono impegnarsi, in collaborazione con le scuole, ad aumentare l’estensione temporale di permanenza dei ragazzi nelle scuole, per incrementare la loro crescita formativa. Le politiche educative devono spostarsi sulle piazze, nei centri aggregativi, nei parchi: non possiamo permetterci politiche culturali d’élite. E poi continuare ad aumentare i momenti di educazione alla legalità contro le mafie».