I documenti attestano che nel lontano 1651 nella Cattedrale di Bitonto fu smembrato il ciborio duecentesco, i cui frammenti – circa 68, tra i quali la cimasa (ora pomo del parapetto dell’ambone), parte dell’architrave delle due cupolette, un capitello, parte di alcune colonne, dei gradini che ne costituivano la base e il paliotto dell’altare – furono trovati proprio nella Basilica.
Era il 2008 quando dal Centro Ricerche di Storia e Arte Bitonto fu presentato il lavoro dell’ingegnere Nicola Milella che ricostruì virtualmente la struttura.
Quest’anno, la memoria e il disegno non è stata fatta solo in maniera virtuale, ma anche fisica grazie ad uno studio dell’ingegnere Vitantonio Vacca che, facendo ricorso alla stampa 3D, ha ricreato il ciborio che ha contenuto il frammento del nostro Legno Santo, portato in processione dall’Arciconfraternita di Santa Maria del Suffragio. Un lavoro fatto non soltanto di stampa, ma anche di maestria tra le mani dell’artigiano Franco Vacca.
Le mani nodose che hanno spatolato tutte le colonne per antichizzarle, la passione con cui ha allestito l’altare, fiore dopo fiore, la cura per i dettagli e l’emozione commuovente, che passa nel mare degli occhi lucidi e azzurri.
«Quello ricreato – ci racconta il signor Franco – è un ciborio che si rifà alla struttura duecentesca della nostra Cattedrale» analoga, in moltissimi elementi, a quella attualmente presente nella Cattedrale di Santa Maria Maggiore a Barletta: un pregevole ciborio con quattro colonne marmoree e un tamburo ottagonale sorretto da colonnette.
«Abbiamo rappresentato dei capitelli imperfetti, proprio perché abbiamo recuperato le fotografie originali». La struttura è stata molto difficoltosa nel trasporto per i portatori, specie per il peso, che ha superato di poco i due quintali. «Abbiamo fatto in modo – spiega l’artigiano – che le colonne si siano trovate proprio in corrispondenza dei portatori, per dare un preciso significato: sono loro le colonne delle nostre processioni, con fatica, con dedizione e fede tengono sulle spalle il peso (fisico e religioso) delle nostre immagini».
La dedica di Franco Vacca, però, è andata a don Alberto Battaglia: «Il ciborio rappresenta, appunto, l’altare e don Alberto ha incarnato profondamente il significato religioso di quel luogo. Tanti bitontini hanno conosciuto la sua bontà d’animo, per questo il mio pensiero va a lui».
Un messaggio, in ultimo, anche alle più giovani generazioni: «Ho preso l’eredità di Franco Romano, ma anche della famiglia Lucarelli che realizzava dei bellissimi trofei floreali, ora spero che ci siano delle giovani generazioni che possano affacciarsi ed apprendere l’arte e la manualità di saper fare, per dare continuità alle nostre tradizioni».