DI FRANCESCA MORRELLI
Quarantacinque minuti di lectio travolgente, emozionante, folgorante. Quarantacinque minuti in cui il torinese Gianni Oliva ha imbracciato con il pensiero divergente il suo mitragliatore e lo ha scaricato sulla storia che i libri ci hanno sempre raccontato a proposito del ventennio fascista e dei primi anni della nostra Repubblica.
Difficile rendere un intervento nel quale lo storico e politico, cresciuto nell’ombra degli anni ‘70, ha ripercorso l’epoca della Prima Guerra Mondiale, passando per le trasformazioni sociali, industriali e di costumi tra primo e secondo dopoguerra, l’emancipazione femminile di donne che occuparono posizioni lavorative tipicamente maschili e si affrancano dal patriarcato, fino ad arrivare al controllo della formazione e dell’informazione, il consenso dell’opinione pubblica da parte di Mussolini, il PCI degli ultimi anni ‘40, le foibe, il caso Moro, infine i nostri giorni, con la morte della Balzerani.
Insomma, un excursus negli ultimi decenni della storia nazionale e oltre, letta però a partire da un punto – d’arrivo e non di partenza, perché “la storia deve essere onesta e tutti i documenti devono essere letti per elaborare una tesi e non dobbiamo partire da una tesi da confermare nei documenti”- e cioè che di quel ventennio, e non solo, abbiamo nascosto tutto quello che era “scomodo” perché sostenere che l’Italia avesse perso la guerra nel ‘43 avrebbe voluto dire prendersi le responsabilità di una iniziativa, mentre abbiamo preferito raccontare e raccontarci che la guerra l’aveva voluta la dittatura di Mussolini. Ecco il senso di “45 milioni di antifascisti. Il voltafaccia di una nazione che non ha fatto i conti con il ventennio” (Le Scie, Mondadori, 2024), presentato in presenza dell’autore Gianni Oliva ieri sera presso il Torrione Angioino, a cura del locale Mondadori Point di Simona Saracino.
Cosa è la Storia? Quella cristallizzata che leggiamo sui libri oppure una costruzione del passato, spesso basata sui silenzi? L’interpretazione problematica di questo contemporaneo Cyrano vuole dimostrare che una vera transizione antifascista non c’è mai stata, che la Seconda Guerra Mondiale è stata combattuta all’estero e non è finita con l’armistizio dell’8 settembre, che la Resistenza non fu un fenomeno di grande partecipazione popolare ma che tuttavia «ci ha messo nel posto giusto nei libri di storia», che l’antifascismo era pressocchè inesistente durante il ventennio e che il popolo era complice di Mussolini, come anche la classe docente, che aderì al regime tranne che in soli dodici casi (e i libri di storia ricordano solo quelli), che i quadri dirigenziali del fascismo passarono ad essere quelli della Repubblica – esempi “in punta di spada” ne sono Ciro Verdiani e Gaetano Azzariti-, che i terroristi degli anni di piombo, seppure colpevoli, sono la punta dell’iceberg di una responsabilità collettiva che li spingeva all’azione. Insomma, che la storia non è oggettiva perché, pur basandosi su documenti, questi sono interpretabili e dunque veicolabili verso una verità cercata. Noi, figli di una scuola in cui «la storia è poco in onore, soprattutto quella contemporanea», abbiamo immaginato di fare politica cavalcando la cresta dell’antifascismo, mentre invece bisognerebbe guardare al futuro e non nascondere la difficoltà progettuale dietro la bandierina del passato.
E qui il politico Oliva ha trovato eco nelle voci del senatore Giovanni Procacci, intervenuto in rappresentanza dell’associazione Città dell’Uomo, che ha ricordato gli anni pre e post bellici a Bitonto, quando i luoghi oggi frequentati quotidianamente erano la Casa del Fascio o la Camera del Lavoro ed essere comunisti significava organizzare la rivoluzione e sovvertire lo stato borghese, e del sindaco di Bitonto Francesco Paolo Ricci, che ha evidenziato il dovere di una memoria pubblica condivisa per programmare le esperienze del vivere quotidiano e i principi democratici nella città di Bitonto. Un incontro ricco di riflessioni e di spunti che hanno lasciato incantato anche il moderatore della serata, il prof. Mario Sicolo, direttore del Da Bitonto, pur essendo un profondo esperto non solo dell’opera di Oliva, ma soprattutto della capacità di pensare secondo il pensiero creativo teorizzato da Guilford.
«La Storia nasce sempre dalle domande che il presente pone al passato» ha concluso Oliva, citando Marc Bloch.