Centinaia di persone si sono ritrovate in strada con il naso all’insù, richiamate dal mantra ripetuto dagli organizzatori: “Il nostro panorama è un panorama di balconi”. Sono arrivate per capire che cosa volesse dire e sono rimaste conquistate. Un grande successo di pubblico, forse inaspettato e non prevedibile da parte di nessuno, ha caratterizzato il 30 agosto la serata di inaugurazione della mostra-evento “Il mattino ha Lory in bocca”, che nasce da un’idea del curatore Francesco Paolo Del Re ed è stata allestita sui balconi di un appartamento al primo piano nel quartiere Madonnella, all’angolo tra via Dalmazia e via Spalato (a due passi dalla Pinacoteca Metropolitana “Corrado Giaquinto”), di proprietà dei collezionisti Loredana Savino e Matteo De Napoli, organizzatori dell’evento espositivo.
C’è tempo fino al 4 settembre per visitare la mostra che è accessibile liberamente da chiunque passi per strada, con le opere di tredici artisti che stanno letteralmente “fuori come un balcone”, mutuando un’espressione gergale che indica una bizzarria di pensiero e di comportamento: Natascia Abbattista, Mariantonietta Bagliato, Pierluca Cetera, Guido Corazziari, Marika D’Ernest, Luca De Napoli, Sabino de Nichilo, Antonio Milano, Ezia Mitolo, Stefania Pellegrini, Fabrizio Provinciali, Giuseppe Verga, Claudio Zorzi.
Fotografie, dipinti, sculture, installazioni, neon sono esposte all’aria aperta come si mette il bucato ad asciugare nelle belle giornate di sole. Leggerezza, dunque, è la parola d’ordine dell’iniziativa, che permette però di fare riflessioni importanti e di mettere in campo tematiche molteplici e linguaggi multiformi. “‘Il mattino ha Lory in bocca’– secondo la padrona di casa e organizzatrice dell’evento Loredana Savino – è stato un bel gioco ma anche un’opportunità. Abbiamo dato una casa agli artisti contemporanei che fanno fatica a far conoscere la loro produzione, ma abbiamo anche portato l’arte contemporanea per strada, tra la gente, coinvolgendo persone che, probabilmente, non avrebbero mai pensato né immaginato di entrare in una galleria e che si è appassionata al nostro progetto. Abbiamo incuriosito, stupito e divertito gli abitanti di Madonnella. L’arte rende liberi e rende felici!”.
“È stato un regalo al quartiere, una festa d’estate, con lo scopo di avvicinare all’arte anche persone che normalmente nei musei e nelle gallerie non entrerebbero, in una città, Bari, che presenta pochissimi spazi e scarsa attenzione progettuale per l’arte del presente, cioè dell’arte vicina a noi e che non parla di nient’altro che di noi. Il momento clou della serata di inaugurazione – racconta il curatore Francesco Paolo Del Re – è stato senza dubbio quello dell’attesa performance di Natascia Abbattista, che è stata fatta alle ore 20 e poi ripetuta alle 21:30. Sei minuti di azione performativa che ha visto protagonista l’artista su uno dei balconi dell’appartamento, sei minuti che potremmo definire di ordinaria follia. La fine di un amore, una riflessione sulla violenza domestica e sulla tenaglia delle costrizioni culturali che condizionano la famiglia, le relazioni, il desiderio, il corpo, il genere, le memorie cinematografiche e della cultura pop, l’impietoso sguardo dei social media che mette a nudo e diffonde ogni dettaglio della nostra quotidianità, dagli aspetti più insignificanti alle manifestazioni più parossistiche ed esasperate del dolore e della follia: ritroviamo tutti questi elementi nella perfomance appassionata e dolente di Natascia Abbattista, che riesce a essere ironica e irriverente quando il dramma si fa più acuto e a coinvolgere il pubblico, che la accompagna e la incita nella sua azione di defenestrazione dei panni di un bucato dall’alto significato metaforico e che diventa oggetto e bersaglio degli stracci bagnati e volanti da lei scagliati in strada”.
Passando in rassegna le opere della mostra, Natascia Abbattista espone l’opera “Percoco”, un dipinto realizzato nel 2022 a smalto e solvente su cellophane che, racconta l’artista, “ha un forte legame con il quartiere Madonnella. Franco Percoco è stato, nel 1956, il primo stragista familiare. In un appartamento di via Celentano uccise la madre, il padre e il fratello e i loro cadaveri rimasero parecchi giorni a casa con lui, prima di essere scoperti. Anche se in maniera più ironica, l’eco del dramma familiare accompagna anche la mia performance ‘Perdere l’amore’. È un atto di liberazione da un amore finito, è un atto di lotta contro una visione maschilista del ruolo della donna. Il tutto sulle note della celebre canzone di Massimo Ranieri. Con gesti compulsivi, getto dal balcone vestiti bagnati sulle persone sotto e sulle macchine che passano per strada. C’è chi li schiva, chi viene colpito, chi canta a squarciagola, chi li rilancia sul balcone ma anche chi fa storie sui social. La spettacolarizzazione di questo mio lancio liberatorio ma non privo di dolore, ricorda l’episodio di una donna di Catania e il video di lei che gettava vasi e oggetti dal balcone ha fatto il giro dei social. Anche dietro il suo gesto si nascondeva probabilmente un dramma familiare”.
“Tramonto in rosso” è il titolo dell’opera di Mariantonietta Bagliato, un arazzo del 2021 fatto con scampoli di stoffe cucite: si tratta di un’opera legata intimamente a Bari, evocata dall’accostamento tra il rosso e il bianco, i colori che rappresentano la città. L’opera fa parte della serie “Cuore mio”, che è stata presentata nella mostra personale allestita nel 2021 allo spazio Nico. “Nella serie – spiega l’artista – si rappresentano elementi visivi tipici del nostro sud e della terra pugliese, come i ragni e i fichi d’India. L’atmosfera evoca il calore afoso tipico del periodo estivo e in questa calura le mie opere sembrano quasi sciogliersi nello spazio”.
Un’attesa apparentemente immobile, ma in realtà animata da un turbinio di pensieri tanto invisibili quanto produttivi di futuri sviluppi è quella nella quale si intrattiene il protagonista del dipinto “L’Ozio (Marco)” di Pierluca Cetera, un olio su tela del 2019, già presentato a Bari in una mostra ospitata dalla galleria Museo Nuova Era. “Ho voluto rappresentare – dice Cetera – il momento dell’ozio creativo, un attimo di sospensione del tempo, attraverso una serie di ritratti di persone oziose, di amici che fanno mestieri nei quali è importante la fase della meditazione, che spesso viene scambiata per inoperosità. L’artista ritratto (in questo caso lo scrittore Marco Cardetta) si trova quindi sospeso, nella condizione di volare, ma anche di cadere”. Appeso alla ringhiera, ricorda una visione ascetica, godendosi un innaturale riposo senza peso.
È un’installazione luminosa, pezzo forte della mostra soprattutto di sera, l’opera di Guido Corazziari e si compone di sei tubi a led da 120 cm, ciascuno caratterizzato da un colore diverso. “La mia ‘Rainbow Star’ – argomenta – fonde il ‘Sigillo di Salomone’, un antico simbolo costituito da due triangoli equilateri intrecciati (noto anche come esagramma, stella a sei punte o esalfa). Questa stella esprime l’unione del mondo spirituale con il mondo materiale. Si fonde inoltre con l’arcobaleno, anche questo dai molti significati, tra i quali in particolare quello dell’unione tra cielo e terra”.
L’opera che ha incuriosito di più gli abitanti del quartiere, in particolare gli uomini, è stata realizzata da Marika D’Ernest con una federa di cuscino del corredo della nonna. Si tratta del screen print monotipo con colori da serigrafia intitolata “Paradiso al primo piano”. Spiega l’artista che “nasce dall’incontro tra la cultura del tatuaggio, storie popolari e dialoghi interiori sulle questioni di genere. Un tempo le prostitute erano marchiate in maniera particolare, la loro era una muta tatuata per identificarsi. Alcuni quartieri di Bari, prima della legge Merlin, ospitavano numerose case chiuse. I signori che le frequentavano sapevano che ‘il paradiso era proprio lì, al primo piano’. Ho unito le cose per esporre al primo piano della casa di Loredana Savino e Matteo De Napoli una sacra sindone che dissacra il corpo”. La rappresentazione stilizzata di un corpo femminile porta impresso il simbolo fallico del potere maschile, tra negazione e liberazione del desiderio.
Appartiene al progetto “Puglia dal cielo – il mondo in una regione” la fotografia intitolata “Fenicotteri rosa a Margherita di Savoia” di Luca De Napoli il quale, nato a Bari nel 1947, prima di scomparire nel maggio del 2020 ha lasciato dietro di sé un gran numero di opere fotografiche. Racconta il figlio Matteo che “il lungo lavoro di ricerca dal cielo a bordo di un elicottero con lo scopo di immortalare i luoghi più suggestivi della nostra regione si concluse con la pubblicazione del volume fotografico “Puglia dal cielo” nel 2006. È da questa pubblicazione che è stata estrapolata l’opera dei fenicotteri rosa immortalati in volo in località Margherita di Savoia”.
“‘Monamùr’ è la vergogna e il possesso, l’oggetto del desiderio manifestato ed esibito. Un atto di violenza maschile verso l’intelligenza e la sensibilità”. Racconta con passione i significati che stanno dietro alla sua opera “Monamùr” Sabino de Nichilo, che espone sul balcone un’installazione di una coppia lenzuola sulle quali è stato sospeso, in occasione dell’inaugurazione, un chilo di carne di bovino infilzato con un gancio da macelleria e sostenuto da una catena di ferro, esposto agli agenti atmosferici fino alla sua decomposizione, con sgomento dei passanti. A contatto con la stoffa immacolata, la carne ha lasciato una macchia di sangue che resta impressa anche dopo l’eliminazione della carne, alla fine dell’inaugurazione. “Come si esponevano le lenzuola – spiega de Nichilo – la mattina successiva alla prima notte di nozze, per dichiarare al mondo la verginità della sposa, conservata e poi perduta, così la carne si espone al sole a putrefarsi, come dignità perduta di cui resta solo una macchia, un’impressione”.
Nella sua ricerca artistica Antonio Milano spesso si impegna a dipingere immagini preesistenti, facendo ritratti a partire da fotografie di persone per lui significative, che assumono un significato per lui importante. Per “Il mattino ha Lory in bocca” ha scelto di dipingere un ritratto di Giovanni Fattori, pittore morto proprio lo stesso giorno di inaugurazione della mostra, il 30 agosto, adoperando tecniche miste su un tessuto di cotone. Dell’opera si espone però non il fronte, come si potrebbe immaginare, ma il retro, dove all’intenzione dell’artista subentra la casualità dell’azione dei solventi adoperati per la pittura e la reazione chimica degli stessi sul supporto. “La mia ricerca artistica – dichiara Milano – è incentrata sul dialogo tra lo spazio e il tempo e sul rapporto effimero tra materia e figurazione. L’opera è un ritratto funerario di Giovanni Fattori, un omaggio in occasione del 114esimo anniversario dalla morte (30 Agosto 1908)”. Fattori è tra gli artisti conservati nella vicina pinacoteca metropolitana.
È di Ezia Mitolo l’unica opera scultorea in mostra, che utilizza legno, terracotta e materiali misti per un intervento site specific intitolato “Chi è? (se io non sono?)”. “Ho voluto giocare con l’umorismo – racconta l’artista – realizzando un lavoro ironico, attenendomi allo spirito di festa della mostra. L’idea di esporre su di un balcone privato mi ha fatto pensare subito a tutte quelle persone curiose e impiccione che trascorrono la maggior parte del loro tempo affacciate a osservare silenziose le vite degli altri, interrogandosi sulle varie generalità, identità domestiche o cittadine, anziché dedicarsi a interrogare se stesse e magari migliorare la propria vita. La mia scultura è un essere dal collo lungo e la testa protesa a guardare. È stata pensata e realizzata per sporgere all’infuori dello spazio del balcone; la sua testa e il lungo collo si vedono fuoriuscire infatti da tutte le angolazioni. In questo caso, è posta addirittura sulla parte esterna della ringhiera come se volesse lanciarsi a tutto spiano nelle esistenze altrui, per curiosare, ficcanasare. Ma assomiglia anche a un salto nel vuoto di se stessa”.
Un vero e proprio quadro, con tanto di telaio, viene appeso alla ringhiera da Stefania Pellegrini: un omaggio a Marcel Duchamp intitolato “Comet M.D”. Pellegrini spiega che “l’idea della maglia, della tessitura e dell’intreccio è tradotta in bidimensionali zentangles, sinuosi doodles che si dilatano nello spazio della tela in finti arazzi. Il filo di lana che si intreccia o la linea che disegna sono la stessa cosa, entrambe visualizzazioni/materializzazioni del pensiero e dell’idea; gli andamenti sinuosi del segno mi permettono di realizzare nuove geografie, nuove specie, ibridi che mescolano animale, vegetale, umano, femminile, maschile, fisime, routine, giochi di parole. ‘Comet M.D.’ è un ritratto indiziario di un’identità da ricostruire, da indovinare, dove la parte per il tutto, il dettaglio/indizio da ‘ri-tagliare’ e ‘incollare’ come un accessorio da paper-doll, è la capigliatura e ciò che ne è connesso. Il titolo è un secondo indizio, una sigla, delle iniziali, sono quelle di Marcel Duchamp; l’omaggio all’artista prende spunto dalla foto ‘Tonsure de 1919 – Paris’ in cui egli stesso omaggia Apollinaire (‘Una stella di sangue m’incorona per sempre… questo quasi mortale foro che si è stellato…’ da ‘La tète ètoilèe’, poesia raccolta in ‘Calligrammes’). Duchamp è ritratto di schiena, con la testa rasata in modo da mostrare una stella ed una striscia, da qui l’idea dell’artista/cometa dalla scia indelebile”.
Abruzzese di nascita e romano di adozione, Fabrizio Provinciali è un fotografo che proviene dal mondo del cinema ed è al suo debutto espositivo con un’opera realizzata a Bari e dedicata a questa città, dal titolo “Giocatrici di burraco”. “‘Giocatrici di burraco’ è uno scatto – racconta provinciali – tratto dalla serie ‘La bella stagione’. Il progetto, ancora inedito, nasce dopo il primo lockdown del 2020 e coincide con la mia scoperta della città di Bari. Durante le passeggiate nella spiaggia di Pane e Pomodoro sono stato attratto dai corpi al sole di persone intente in attività ricreative tipiche della città. Ma nelle mie foto non cerco il folklore, quanto sensazioni universali come la leggerezza e la spensieratezza. Per questo ricorro spesso ad una composizione di tipo teatrale, a tratti decontestualizzata, ma senza interazione con i soggetti né manipolazione della scena fotografata, perché quello che mi affascina maggiormente è la messa in scena che offre la realtà”.
Un dittico di dipinti ad acrilico su carta viene proposto al pubblico da Giuseppe Verga non sul balcone, ma dentro l’enoteca che si trova al piano terra dell’edificio. È una coppia di autoritratti caratterizzati dal tratto espressivo e deformante tipico della pittura di Verga, intitolati “A Santa Rita dobbiamo andare…?”. A spiegarne il significato è lo stesso artista. “Il mio lavoro – dichiara – è un’evocazione in chiave ironica della religiosità pugliese, un rimando ai ricordi dell’infanzia fatti di zie e di nonne devotissime ai santi fino a sfiorare il paganesimo. Nel dittico sono rappresentati due autoritratti in estasi mentre stingono tra le mani l’immagine di Santa Rita (molto venerata nel territorio barese). Il titolo è una citazione di una gag dei comici Toti e Tata nella quale appunto si organizza un viaggio a Santa Rita così come succedeva negli anni Ottanta, quando a organizzarli erano i venditori di pentole e stoviglie”.
L’ultimo artista presente in mostra, in ordine alfabetico, è Claudio Zorzi, che pur essendo pugliese vive e opera a Torino. Nella sua opera “Trasmutazione (Roberta, ritratto n.3)”, una silhouette femminile si staglia, come durante un’eclisse, contro una fonte luminosa, in un intenso ritratto che si fa pretesto di una potente sperimentazione pittorica. “Il ritratto – racconta Zorzi – è uno degli archetipi della pittura, un portale spazio-temporale aperto nella storia dell’umanità. Attraverso questo portale è possibile entrare in un ‘campo’ dove le energie del micro e macro cosmo plasmano di continuo il soggetto rappresentato nell’eterna lotta degli opposti, luce ed ombra, terra e cielo, moto e stasi, inferno e paradiso. La pittura come la natura segue le leggi della trasformazione universale”.
All’interno di casa Savino-De Napoli trova posto una collezione d’arte e le sue porte si aprono eccezionalmente al pubblico in occasione dell’evento, permettendo a chi lo vuole di vedere opere di Cristiano De Gaetano (tra le altre, l’“Autoritratto con le mani di pane”, un olio su tela del 2003) e di Natascia Abbattista, Giovanni Albore, Michele Ardito, Mariantonietta Bagliato, Pierluca Cetera, Guido Corazziari, Marika D’Ernest, Gaël Davrinche, Luca De Napoli, Saverio Paternoster, Senait Stella, Teresa Vallarella, Giuseppe Verga. La visita si può prenotare telefonando al numero 3381016153, ma nella serata dell’inaugurazione e anche nei giorni successivi la gente si è presentata per visitare al collezione anche senza appuntamento. Addirittura la sera del 30 agosto si è registrato un flusso continuo di visitatori fino a tarda ora. E gli appuntamenti continuano fino al 4 settembre.
balconi al primo piano di via Dalmazia angolo via Spalato
30 agosto – 4 settembre 2022
Centinaia di persone si sono ritrovate in strada con il naso all’insù, richiamate dal mantra ripetuto dagli organizzatori: “Il nostro panorama è un panorama di balconi”. Sono arrivate per capire che cosa volesse dire e sono rimaste conquistate. Un grande successo di pubblico, forse inaspettato e non prevedibile da parte di nessuno, ha caratterizzato il 30 agosto la serata di inaugurazione della mostra-evento “Il mattino ha Lory in bocca”, che nasce da un’idea del curatore Francesco Paolo Del Re ed è stata allestita sui balconi di un appartamento al primo piano nel quartiere Madonnella, all’angolo tra via Dalmazia e via Spalato (a due passi dalla Pinacoteca Metropolitana “Corrado Giaquinto”), di proprietà dei collezionisti Loredana Savino e Matteo De Napoli, organizzatori dell’evento espositivo.
C’è tempo fino al 4 settembre per visitare la mostra che è accessibile liberamente da chiunque passi per strada, con le opere di tredici artisti che stanno letteralmente “fuori come un balcone”, mutuando un’espressione gergale che indica una bizzarria di pensiero e di comportamento: Natascia Abbattista, Mariantonietta Bagliato, Pierluca Cetera, Guido Corazziari, Marika D’Ernest, Luca De Napoli, Sabino de Nichilo, Antonio Milano, Ezia Mitolo, Stefania Pellegrini, Fabrizio Provinciali, Giuseppe Verga, Claudio Zorzi.
Fotografie, dipinti, sculture, installazioni, neon sono esposte all’aria aperta come si mette il bucato ad asciugare nelle belle giornate di sole. Leggerezza, dunque, è la parola d’ordine dell’iniziativa, che permette però di fare riflessioni importanti e di mettere in campo tematiche molteplici e linguaggi multiformi. “‘Il mattino ha Lory in bocca’– secondo la padrona di casa e organizzatrice dell’evento Loredana Savino – è stato un bel gioco ma anche un’opportunità. Abbiamo dato una casa agli artisti contemporanei che fanno fatica a far conoscere la loro produzione, ma abbiamo anche portato l’arte contemporanea per strada, tra la gente, coinvolgendo persone che, probabilmente, non avrebbero mai pensato né immaginato di entrare in una galleria e che si è appassionata al nostro progetto. Abbiamo incuriosito, stupito e divertito gli abitanti di Madonnella. L’arte rende liberi e rende felici!”.
“È stato un regalo al quartiere, una festa d’estate, con lo scopo di avvicinare all’arte anche persone che normalmente nei musei e nelle gallerie non entrerebbero, in una città, Bari, che presenta pochissimi spazi e scarsa attenzione progettuale per l’arte del presente, cioè dell’arte vicina a noi e che non parla di nient’altro che di noi. Il momento clou della serata di inaugurazione – racconta il curatore Francesco Paolo Del Re – è stato senza dubbio quello dell’attesa performance di Natascia Abbattista, che è stata fatta alle ore 20 e poi ripetuta alle 21:30. Sei minuti di azione performativa che ha visto protagonista l’artista su uno dei balconi dell’appartamento, sei minuti che potremmo definire di ordinaria follia. La fine di un amore, una riflessione sulla violenza domestica e sulla tenaglia delle costrizioni culturali che condizionano la famiglia, le relazioni, il desiderio, il corpo, il genere, le memorie cinematografiche e della cultura pop, l’impietoso sguardo dei social media che mette a nudo e diffonde ogni dettaglio della nostra quotidianità, dagli aspetti più insignificanti alle manifestazioni più parossistiche ed esasperate del dolore e della follia: ritroviamo tutti questi elementi nella perfomance appassionata e dolente di Natascia Abbattista, che riesce a essere ironica e irriverente quando il dramma si fa più acuto e a coinvolgere il pubblico, che la accompagna e la incita nella sua azione di defenestrazione dei panni di un bucato dall’alto significato metaforico e che diventa oggetto e bersaglio degli stracci bagnati e volanti da lei scagliati in strada”.
Passando in rassegna le opere della mostra, Natascia Abbattista espone l’opera “Percoco”, un dipinto realizzato nel 2022 a smalto e solvente su cellophane che, racconta l’artista, “ha un forte legame con il quartiere Madonnella. Franco Percoco è stato, nel 1956, il primo stragista familiare. In un appartamento di via Celentano uccise la madre, il padre e il fratello e i loro cadaveri rimasero parecchi giorni a casa con lui, prima di essere scoperti. Anche se in maniera più ironica, l’eco del dramma familiare accompagna anche la mia performance ‘Perdere l’amore’. È un atto di liberazione da un amore finito, è un atto di lotta contro una visione maschilista del ruolo della donna. Il tutto sulle note della celebre canzone di Massimo Ranieri. Con gesti compulsivi, getto dal balcone vestiti bagnati sulle persone sotto e sulle macchine che passano per strada. C’è chi li schiva, chi viene colpito, chi canta a squarciagola, chi li rilancia sul balcone ma anche chi fa storie sui social. La spettacolarizzazione di questo mio lancio liberatorio ma non privo di dolore, ricorda l’episodio di una donna di Catania e il video di lei che gettava vasi e oggetti dal balcone ha fatto il giro dei social. Anche dietro il suo gesto si nascondeva probabilmente un dramma familiare”.
“Tramonto in rosso” è il titolo dell’opera di Mariantonietta Bagliato, un arazzo del 2021 fatto con scampoli di stoffe cucite: si tratta di un’opera legata intimamente a Bari, evocata dall’accostamento tra il rosso e il bianco, i colori che rappresentano la città. L’opera fa parte della serie “Cuore mio”, che è stata presentata nella mostra personale allestita nel 2021 allo spazio Nico. “Nella serie – spiega l’artista – si rappresentano elementi visivi tipici del nostro sud e della terra pugliese, come i ragni e i fichi d’India. L’atmosfera evoca il calore afoso tipico del periodo estivo e in questa calura le mie opere sembrano quasi sciogliersi nello spazio”.
Un’attesa apparentemente immobile, ma in realtà animata da un turbinio di pensieri tanto invisibili quanto produttivi di futuri sviluppi è quella nella quale si intrattiene il protagonista del dipinto “L’Ozio (Marco)” di Pierluca Cetera, un olio su tela del 2019, già presentato a Bari in una mostra ospitata dalla galleria Museo Nuova Era. “Ho voluto rappresentare – dice Cetera – il momento dell’ozio creativo, un attimo di sospensione del tempo, attraverso una serie di ritratti di persone oziose, di amici che fanno mestieri nei quali è importante la fase della meditazione, che spesso viene scambiata per inoperosità. L’artista ritratto (in questo caso lo scrittore Marco Cardetta) si trova quindi sospeso, nella condizione di volare, ma anche di cadere”. Appeso alla ringhiera, ricorda una visione ascetica, godendosi un innaturale riposo senza peso.
È un’installazione luminosa, pezzo forte della mostra soprattutto di sera, l’opera di Guido Corazziari e si compone di sei tubi a led da 120 cm, ciascuno caratterizzato da un colore diverso. “La mia ‘Rainbow Star’ – argomenta – fonde il ‘Sigillo di Salomone’, un antico simbolo costituito da due triangoli equilateri intrecciati (noto anche come esagramma, stella a sei punte o esalfa). Questa stella esprime l’unione del mondo spirituale con il mondo materiale. Si fonde inoltre con l’arcobaleno, anche questo dai molti significati, tra i quali in particolare quello dell’unione tra cielo e terra”.
L’opera che ha incuriosito di più gli abitanti del quartiere, in particolare gli uomini, è stata realizzata da Marika D’Ernest con una federa di cuscino del corredo della nonna. Si tratta del screen print monotipo con colori da serigrafia intitolata “Paradiso al primo piano”. Spiega l’artista che “nasce dall’incontro tra la cultura del tatuaggio, storie popolari e dialoghi interiori sulle questioni di genere. Un tempo le prostitute erano marchiate in maniera particolare, la loro era una muta tatuata per identificarsi. Alcuni quartieri di Bari, prima della legge Merlin, ospitavano numerose case chiuse. I signori che le frequentavano sapevano che ‘il paradiso era proprio lì, al primo piano’. Ho unito le cose per esporre al primo piano della casa di Loredana Savino e Matteo De Napoli una sacra sindone che dissacra il corpo”. La rappresentazione stilizzata di un corpo femminile porta impresso il simbolo fallico del potere maschile, tra negazione e liberazione del desiderio.
Appartiene al progetto “Puglia dal cielo – il mondo in una regione” la fotografia intitolata “Fenicotteri rosa a Margherita di Savoia” di Luca De Napoli il quale, nato a Bari nel 1947, prima di scomparire nel maggio del 2020 ha lasciato dietro di sé un gran numero di opere fotografiche. Racconta il figlio Matteo che “il lungo lavoro di ricerca dal cielo a bordo di un elicottero con lo scopo di immortalare i luoghi più suggestivi della nostra regione si concluse con la pubblicazione del volume fotografico “Puglia dal cielo” nel 2006. È da questa pubblicazione che è stata estrapolata l’opera dei fenicotteri rosa immortalati in volo in località Margherita di Savoia”.
“‘Monamùr’ è la vergogna e il possesso, l’oggetto del desiderio manifestato ed esibito. Un atto di violenza maschile verso l’intelligenza e la sensibilità”. Racconta con passione i significati che stanno dietro alla sua opera “Monamùr” Sabino de Nichilo, che espone sul balcone un’installazione di una coppia lenzuola sulle quali è stato sospeso, in occasione dell’inaugurazione, un chilo di carne di bovino infilzato con un gancio da macelleria e sostenuto da una catena di ferro, esposto agli agenti atmosferici fino alla sua decomposizione, con sgomento dei passanti. A contatto con la stoffa immacolata, la carne ha lasciato una macchia di sangue che resta impressa anche dopo l’eliminazione della carne, alla fine dell’inaugurazione. “Come si esponevano le lenzuola – spiega de Nichilo – la mattina successiva alla prima notte di nozze, per dichiarare al mondo la verginità della sposa, conservata e poi perduta, così la carne si espone al sole a putrefarsi, come dignità perduta di cui resta solo una macchia, un’impressione”.
Nella sua ricerca artistica Antonio Milano spesso si impegna a dipingere immagini preesistenti, facendo ritratti a partire da fotografie di persone per lui significative, che assumono un significato per lui importante. Per “Il mattino ha Lory in bocca” ha scelto di dipingere un ritratto di Giovanni Fattori, pittore morto proprio lo stesso giorno di inaugurazione della mostra, il 30 agosto, adoperando tecniche miste su un tessuto di cotone. Dell’opera si espone però non il fronte, come si potrebbe immaginare, ma il retro, dove all’intenzione dell’artista subentra la casualità dell’azione dei solventi adoperati per la pittura e la reazione chimica degli stessi sul supporto. “La mia ricerca artistica – dichiara Milano – è incentrata sul dialogo tra lo spazio e il tempo e sul rapporto effimero tra materia e figurazione. L’opera è un ritratto funerario di Giovanni Fattori, un omaggio in occasione del 114esimo anniversario dalla morte (30 Agosto 1908)”. Fattori è tra gli artisti conservati nella vicina pinacoteca metropolitana.
È di Ezia Mitolo l’unica opera scultorea in mostra, che utilizza legno, terracotta e materiali misti per un intervento site specific intitolato “Chi è? (se io non sono?)”. “Ho voluto giocare con l’umorismo – racconta l’artista – realizzando un lavoro ironico, attenendomi allo spirito di festa della mostra. L’idea di esporre su di un balcone privato mi ha fatto pensare subito a tutte quelle persone curiose e impiccione che trascorrono la maggior parte del loro tempo affacciate a osservare silenziose le vite degli altri, interrogandosi sulle varie generalità, identità domestiche o cittadine, anziché dedicarsi a interrogare se stesse e magari migliorare la propria vita. La mia scultura è un essere dal collo lungo e la testa protesa a guardare. È stata pensata e realizzata per sporgere all’infuori dello spazio del balcone; la sua testa e il lungo collo si vedono fuoriuscire infatti da tutte le angolazioni. In questo caso, è posta addirittura sulla parte esterna della ringhiera come se volesse lanciarsi a tutto spiano nelle esistenze altrui, per curiosare, ficcanasare. Ma assomiglia anche a un salto nel vuoto di se stessa”.
Un vero e proprio quadro, con tanto di telaio, viene appeso alla ringhiera da Stefania Pellegrini: un omaggio a Marcel Duchamp intitolato “Comet M.D”. Pellegrini spiega che “l’idea della maglia, della tessitura e dell’intreccio è tradotta in bidimensionali zentangles, sinuosi doodles che si dilatano nello spazio della tela in finti arazzi. Il filo di lana che si intreccia o la linea che disegna sono la stessa cosa, entrambe visualizzazioni/materializzazioni del pensiero e dell’idea; gli andamenti sinuosi del segno mi permettono di realizzare nuove geografie, nuove specie, ibridi che mescolano animale, vegetale, umano, femminile, maschile, fisime, routine, giochi di parole. ‘Comet M.D.’ è un ritratto indiziario di un’identità da ricostruire, da indovinare, dove la parte per il tutto, il dettaglio/indizio da ‘ri-tagliare’ e ‘incollare’ come un accessorio da paper-doll, è la capigliatura e ciò che ne è connesso. Il titolo è un secondo indizio, una sigla, delle iniziali, sono quelle di Marcel Duchamp; l’omaggio all’artista prende spunto dalla foto ‘Tonsure de 1919 – Paris’ in cui egli stesso omaggia Apollinaire (‘Una stella di sangue m’incorona per sempre… questo quasi mortale foro che si è stellato…’ da ‘La tète ètoilèe’, poesia raccolta in ‘Calligrammes’). Duchamp è ritratto di schiena, con la testa rasata in modo da mostrare una stella ed una striscia, da qui l’idea dell’artista/cometa dalla scia indelebile”.
Abruzzese di nascita e romano di adozione, Fabrizio Provinciali è un fotografo che proviene dal mondo del cinema ed è al suo debutto espositivo con un’opera realizzata a Bari e dedicata a questa città, dal titolo “Giocatrici di burraco”. “‘Giocatrici di burraco’ è uno scatto – racconta provinciali – tratto dalla serie ‘La bella stagione’. Il progetto, ancora inedito, nasce dopo il primo lockdown del 2020 e coincide con la mia scoperta della città di Bari. Durante le passeggiate nella spiaggia di Pane e Pomodoro sono stato attratto dai corpi al sole di persone intente in attività ricreative tipiche della città. Ma nelle mie foto non cerco il folklore, quanto sensazioni universali come la leggerezza e la spensieratezza. Per questo ricorro spesso ad una composizione di tipo teatrale, a tratti decontestualizzata, ma senza interazione con i soggetti né manipolazione della scena fotografata, perché quello che mi affascina maggiormente è la messa in scena che offre la realtà”.
Un dittico di dipinti ad acrilico su carta viene proposto al pubblico da Giuseppe Verga non sul balcone, ma dentro l’enoteca che si trova al piano terra dell’edificio. È una coppia di autoritratti caratterizzati dal tratto espressivo e deformante tipico della pittura di Verga, intitolati “A Santa Rita dobbiamo andare…?”. A spiegarne il significato è lo stesso artista. “Il mio lavoro – dichiara – è un’evocazione in chiave ironica della religiosità pugliese, un rimando ai ricordi dell’infanzia fatti di zie e di nonne devotissime ai santi fino a sfiorare il paganesimo. Nel dittico sono rappresentati due autoritratti in estasi mentre stingono tra le mani l’immagine di Santa Rita (molto venerata nel territorio barese). Il titolo è una citazione di una gag dei comici Toti e Tata nella quale appunto si organizza un viaggio a Santa Rita così come succedeva negli anni Ottanta, quando a organizzarli erano i venditori di pentole e stoviglie”.
L’ultimo artista presente in mostra, in ordine alfabetico, è Claudio Zorzi, che pur essendo pugliese vive e opera a Torino. Nella sua opera “Trasmutazione (Roberta, ritratto n.3)”, una silhouette femminile si staglia, come durante un’eclisse, contro una fonte luminosa, in un intenso ritratto che si fa pretesto di una potente sperimentazione pittorica. “Il ritratto – racconta Zorzi – è uno degli archetipi della pittura, un portale spazio-temporale aperto nella storia dell’umanità. Attraverso questo portale è possibile entrare in un ‘campo’ dove le energie del micro e macro cosmo plasmano di continuo il soggetto rappresentato nell’eterna lotta degli opposti, luce ed ombra, terra e cielo, moto e stasi, inferno e paradiso. La pittura come la natura segue le leggi della trasformazione universale”.
All’interno di casa Savino-De Napoli trova posto una collezione d’arte e le sue porte si aprono eccezionalmente al pubblico in occasione dell’evento, permettendo a chi lo vuole di vedere opere di Cristiano De Gaetano (tra le altre, l’“Autoritratto con le mani di pane”, un olio su tela del 2003) e di Natascia Abbattista, Giovanni Albore, Michele Ardito, Mariantonietta Bagliato, Pierluca Cetera, Guido Corazziari, Marika D’Ernest, Gaël Davrinche, Luca De Napoli, Saverio Paternoster, Senait Stella, Teresa Vallarella, Giuseppe Verga. La visita si può prenotare telefonando al numero 3381016153, ma nella serata dell’inaugurazione e anche nei giorni successivi la gente si è presentata per visitare al collezione anche senza appuntamento. Addirittura la sera del 30 agosto si è registrato un flusso continuo di visitatori fino a tarda ora. E gli appuntamenti continuano fino al 4 settembre.