DI DAMIANO MAGGIO, SOCIOLOGO
Le cronache dei nostri giorni si riempiono di fenomeni di violenza attivati da gruppi di giovani che vanno da semplici “ragazzate” ad atti gravi e spesso con conseguenze inimmaginabili.
Sono fatti che generano una diffusa paura ed il cui unico scopo è quello di mostrare la “superiorità”. Il meccanismo è ormai noto e alquanto semplice da capire: ricercare contesti in cui poter affermare se stessi, la propria identità, attraverso atti aggressivi, violenti che implicano la sottomissione di altri.
Una chiave di lettura (vox populi) è quella dell’eccessivo permissivismo delle società odierne, che genera adolescenti privi di vincoli, senso del dovere e regole.
Ora, è importante fare dei distinguo, perché non tutti gli atti di vandalismo o gli episodi di teppismo attuati da gruppi di giovani sono ascrivibili al fenomeno “Baby gang”. Una “Baby gang” è un gruppo organizzato che ha come scopo delinquere o che comunque regolarmente commette degli atti contro la legge e alle cui spalle c’è sicuramente la criminalità organizzata. Diverso è quando si parla di ragazzi che, magari in maniera casuale, commettono un atto di teppismo. Nel primo caso siamo di fronte alla criminalità organizzata che si serve dei ragazzi per il controllo del territorio, nel secondo possiamo essere di fronte ad atti di teppismo non accettabili ma che rientrano in dinamiche abbastanza tipiche dell’età adolescenziale. La distinzione è importante perché un conto è affiliarsi a un gruppo che usa la violenza per vocazione, ed è stato strutturato dagli adulti, e ben altra cosa è il vandalismo adolescenziale. Il rischio è che la patologizzazione sistematica di qualunque gesto compiuto dagli adolescenti porti a degli interventi non adeguati o insufficienti, per intervenire in modo adeguato è importante capire cosa si ha di fronte.
È esagerato parlare di allarme sociale se lo si concentra solo sul fenomeno delle “baby gang”: l’allarme sociale c’è ma rispetto a una violenza generale che ormai è endemica, percepita come normale modalità di risolvere i conflitti. Basti pensare ai femminicidi che vengono ormai compiuti quasi ogni giorno. I ragazzi rispecchiano un mondo in cui la violenza è all’ordine del giorno e se facciamo il passaggio contrario, ossia definire l’allarme sociale a partire dai ragazzi, facciamo un’operazione ipocrita che assolve noi adulti ma non rispecchia la realtà. È importante capire che i ragazzi ci restituiscono un’immagine di noi, magari esasperata ma è così. Spesso, specialmente in caso di famiglie con grosse difficoltà, non è così semplice prevenire e ridurre l’adesione a certi modi di fare semplicemente perché sono gli unici che conoscono. La responsabilità della violenza, a monte, ricade sugli adulti, incapaci di prevenire e intervenire. È fondamentale che gli adulti riescano a intercettare il disagio giovanile prima che si espliciti nella violenza, perché nessun adolescente nasce delinquente. Delinquente si diventa, in un’escalation di atti che sono sempre riconducibili a un sentimento di inadeguatezza.
E allora bisogna mostrare la forza dell’esempio positivo, avere autocritica e recuperare l’idea del modello adulto che non mette la prevaricazione al centro dei comportamenti. E poi bisogna portare la vita nei luoghi dove i ragazzi si riuniscono, bisogna creare spazi dove possano organizzare eventi regolamentati, soprattutto nelle periferie, che sono diventate praterie dove l’adulto non entra e i ragazzi si autogestiscono, a volte in maniera (uso un eufemismo) poco saggia.
Il territorio va riconquistato da un progetto pedagogico “globale” e sarebbe tanto più bello e funzionante se ci fosse la responsabilizzazione il coinvolgimento attivo degli stessi ragazzi. Si può fare!