Ho trovato piuttosto artificiata la notizia divulgata ieri sul “sequestro di un’importante collezione di beni culturali, costituita da reperti archeologici, statue, dipinti, beni ecclesiastici, archivistici e librari, ritrovati a seguito della morte di un facoltoso collezionista bitontino” con l’inevitabile linciaggio del presunto colpevole, cancellando d’un colpo ogni memoria della sua munificenza, e parliamo di Mino Devanna. La cosa che mi sorprende è che l’operazione congiunta della Guardia di Finanza e del nucleo operativo della tutela del patrimonio culturale dei Carabinieri ha comportato un sequestro di beni culturali avvenuto il 25 agosto 2021, a cui è seguito il dissequestro degli stessi in data 11 maggio 2022, e solo ieri, ovvero due mesi dopo, si spande la notizia sui giornali in maniera decisamente distorta giacché impostata non già sull’avvenuto dissequestro ma su un sequestro in atto. Senza alcun cenno al fatto che il possesso di 251 reperti archeologici era stato già denunciato da Devanna alla Soprintendenza di Taranto (a parte gli altri 80 rinvenuti in eccedenza da restituire alla Soprintendenza Archeologica di Bari), si è dato adito all’interpretazione di un comportamento ‘delinquenziale’ di una persona che è stata sempre osannata per il suo mecenatismo e per il suo amore per l’arte. Si è creata una immaginifica storia che “è stata proprio la consegna della statua – come ultima volontà del collezionista – da parte degli eredi alla Tenenza della Guardia di Finanza di Bitonto a dare il via alle investigazioni, che hanno permesso il ritrovamento dell’intera collezione all’interno della sua abitazione”, mentre è ben risaputo che la volontà testamentaria del ‘facoltoso collezionista’ è quella di donare i propri beni culturali alla Galleria Nazionale e a Musei, come già avvenuto in tempi non lontani, ma d’un tratto come oscurati. E sulla stampa si è preferito tacere che l’atto che dispone il dissequestro dei beni e la contestuale restituzione degli stessi ai rispettivi aventi diritto (la statua lignea trecentesca raffigurante la Madonna col Bambino, tre dipinti ad olio, un mezzo busto marmoreo, una placca di maiolica, i reliquiari, un volume di fine Seicento, 251 reperti già denunciati e gli altri 80 rinvenuti nella ricognizione dell’intero appartamento: il che non autorizza a pensare che il possesso di questi beni sia da interpretare come furto attribuibile a Devanna, ma come sottrazione operata in tempi e luoghi diversi riconducibile a ignoti che poi hanno venduto al ‘collezionista’ d’arte) prevede altresì che tutti gli altri restanti beni (dipinti su tela e/o legno, statue sacre, statuette in diverso materiale, busti di personaggi in pietra, ecc.) siano restituiti agli eredi aventi diritto e lasciati nella loro piena disponibilità, sui quali pende l’obbligo testamentario di destinarli ai musei statali.