Per solito, i blitz delle forze dell’ordine hanno nomi fantasiosi. Esotici anche, seppur significativi. Ma stavolta mi ha fatto male davvero leggere la denominazione dell’operazione compiuta dai carabinieri all’alba di due giorni fa: Porta Robustina. Immagino i commenti di quanti, saputi, hanno fatto crollare il capo dimostrando tutta la loro soddisfazione nel vedere confermate le loro ataviche convinzioni, che volevano quel posto losco sentina di ogni nefandezza e di ogni miseria morale. Un autentico, doloroso tempio dell’illegalità.
Eppure, stiamo parlando di un quartiere popolato di gente perbene, onesta e operosa. Si chiama così perché un tempo c’era una delle cinque porte, situata a nord ovest e che conduceva a Rubis, Ruvo, abbattuta nell’800, come ricorda una lapide fatta apporre in loco dal sindaco Cioffrese. In fondo alla grande piazza, c’era la famosa Pesa, che regolava ingressi e uscite di prodotti vari nella e dalla nostra città. Sotto i due archi “dirimpettai” fioriva la vita rutilante e coinvolgente delle due chiese di San Michele e di Sant’Andrea, poi spostatasi nello slargo più in là. E tutte le piccole attività commerciali – le botteghe, scrigni di meraviglie – che donavano sostentamento e sorrisi ai bimbi? Addirittura, durante gli scavi di non so quale lavoro in via Le Marteri affiorò il selciato di una strada romana.
Ancora. L’ottimo Pasquale Fallacara, nella sua insostituibile pagina Facebook Bitonto da riscoprire, riporta un brano tratto dal prezioso “Bitonto Attraverso i secoli, Parte Prima del Dott. Vito Acquafredda, pubblicato dallo Stab. Tip. Prof. Antonio Amendolagine A. XV: “A Porta Robustina, sul muro di casa Stellacci, prospiciente la via Palombaio, vedesi una lapide, dal tipo color rosso-bruno, di forma rettangolare, lunga m. 1,10, larga m. 0,40. Dovè essere portata li, dal primiero posto che occupava – il muro attiguo alla Porta Robustina – all’epoca della demolizione di questa porta. È divisa in tre riquadri: in quello centrale vedesi una croce foliata; nel sinistro lo stemma Bitontino – un albero d’ulivo – ; nel destro uno scudo con tre gigli, caricati di un lambello a quattro pendenti. Lungo il lato inferiore, per tutta la larghezza della lapide, è inciso il motto: “Ad pacem promtum designat oliva Botontum” (L’Olivo designa Bitonto pronta alla pace).
E il motto non ha bisogno di spiegazioni”. Insomma, quel luogo che guida al cuore del centro storico e che in questi giorni è su tutti i giornali e i portali di informazione quale crogiolo di malaffare e delitti – tutto giusto, per carità, non saremo noi a chiudere gli occhi dinanzi all’evidenza-, è stato ed è tuttora un quartiere intriso di storia bella e abitato da tanti bitontini puliti, generosi, integerrimi. Non dimentichiamolo mai…