Se ne parla un po’ ovunque: social, tv, giornali, ma anche spiagge, case, piazze, perché, vuoi o non vuoi, tocca tutti: non solo padri, nonni, zie ma perfino i non addetti ai lavori. Del resto, rappresenta un momento di “unità nazionale” nel quale, spesso senza senso della misura, tutti s’affannano a dire la loro, competenti ed incompetenti (questi più dei primi). L’ Esame di Stato (e non Esame di Maturità, come si ostinano a definirlo alcuni autorevoli commentatori, da ultimo il chiarissimo, illustrissimo, “ascoltatissimo” professor Cacciari) è l’argomento dell’intero mese di giugno, con appendici a maggio e luglio. C’è chi vorrebbe cancellarlo del tutto, chi riformarlo in toto, chi rivederlo in parte, chi ripristinarlo ab origine; chi lo prende sul serio e chi lo ritiene una farsa; chi, invece, ne apprezza il valore formativo (“è il primo esame importante della vita di un adolescente”, sostengono con sicumera psicologi e pedagogisti) e chi ne bolla l’inutilità (“una perdita di tempo ed uno spreco di denaro pubblico”, l’opinione più diffusa). Sta di fatto, comunque, che l’ Esame di Stato è un’occasione ghiotta per avanzare proposte e disegnare scenari alternativi e progettare riforme sostanziali nell’ambito della Scuola. Senza concludere molto, però. Colpa, molto probabilmente, delle vacanze estive che lo seguono a ridosso. Ma, nella realtà, esso rimane un riferimento fisso per tutta l’opinione pubblica nazionale, spesso motivo di orgoglio (“mio figlio è impegnato negli Esami” si dice con tono compiaciuto), di critiche pesanti ad personam (“mio figlio lo hanno penalizzato i professori durante l’esame di stato”sentenziano, sconsolati, alcuni), di recriminazioni oppure di polemiche, il tutto condito, come al solito, con ricordi, riflessioni, annotazioni e via chiacchierando sul piano personale. Forse, in tanto bailamme sfugge che l’Esame di Stato, “previsto al termine di un percorso di studi quinquennale” come recita la normativa, richiederebbe, soprattutto, maggiore serietà. Nella sua articolazione, nel suo svolgimento, nei suoi contenuti, nelle operazioni di valutazione, in primis. Ed invece, anche quest’anno, l’Esame si presenta solo come il frutto di compromessi, sedimentati nel tempo: ultimo quello raggiunto dal ministro Bianchi con i rappresentanti degli studenti a gennaio scorso, per il quale la carriera scolastica del singolo alunno ha ottenuto un punteggio più “pesante” nel giudizio finale dell’Esame. Ed essendo il frutto di compromessi ripetuti e stratificati, esso rivela l’essenza della Scuola Italiana, al cui capezzale accorrono sempre numerosi ma solo in pochissime determinate occasioni, una delle quali l’Esame di Stato, appunto. Ne vien fuori una diagnosi semplice ma importante: alla Scuola manca autorevolezza, per superare anche le crisi più profonde. Che ha perso a causa di un accanimento persecutorio condotto da decenni su fronti diversi: quello sociale, dove la perdita di prestigio dei docenti è sempre più grave; quello economico col mancato riconoscimento di investimenti adeguati alle sue vere necessità e professionalità; quello politico, in cui il suo è un ministero declassato e poco ambito; quello formativo considerata la perdita della sua (un tempo, forte) identità didattico – educativa a tutto vantaggio di non meglio precisati obiettivi formativi. Del resto, si prova più di un dubbio, oggi, nel definire Scuola quella attuale in cui le conoscenze hanno sempre meno valore, gli incentivi (rivolti a discenti, docenti, dirigenti) sono sempre più ridotti, le occasioni di confronto pressoché scomparse, le valutazioni (di tutti i tipi) predefinite e scontate, i programmi di studio ormai aleatori e le regole molto elastiche quando inesistenti. Sì, certo, sono ancora presenti sacche di resistenza ai cambiamenti nell’Istituzione (qualche docente “vecchio stile”) ma son destinate a scomparire a breve, travolte da un protagonismo montante, che si è rafforzato molto negli ultimi decenni, coinvolgendo (o travolgendo?) dirigenti, giovani, famiglie e, perché no, anche docenti. Un protagonismo che, nutrendosi di buoni propositi, belle parole, nobili intenzioni senza preoccuparsi di verificarne l’applicazione concreta, non riconosce valore all’impegno, allo studio, all’approfondimento, alla ricerca, aspetti fondamentali della Scuola. Un protagonismo che predilige le decisioni e le dichiarazioni sorprendenti (“i banchi a rotelle dell’ Azzolina” o il “sogno di una scuola nella quale si suoni e si canti un’ora a settimana”, come di recente dichiarato dal ministro Bianchi) cui seguono sempre disquisizioni dotte e profonde, che, però, non si interrogano sull’attuabilità delle proposte. Un protagonismo che si perpetua e si alimenta nelle contrapposizioni all’interno della Scuola, puntualmente amplificate dai media: studenti contro docenti, famiglie contro docenti, dirigenti contro famiglie ma non con i docenti, docenti contro tutti. A smentire che la Scuola dovrebbe essere “una comunità educante … in grado di promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire i membri della società come parte di una comunità vera e propria”(Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, 2012, p. 6 – Per una nuova cittadinanza). Un protagonismo che sta distruggendo la Scuola ed a cui si dovrebbe rimediare ripristinando l’autorevolezza dell’Istituzione e dei suoi addetti, per ridimensionare la demagogia, la retorica, la smania di potere, l’egoismo, ormai dilaganti a macchia d’olio come i social e sui social. Insomma, bisognerebbe ripristinare un minimo di serietà, che dell’autorevolezza è il fattore fondamentale. Certo, è merce sempre più rara. E preziosa. Ma circola ancora. Una grave colpa non impegnarla.