È morto ieri sera, tradito dal muscolo che più ha ossequiato in vita, Gigi Riva ovvero la Bandiera più grande.
Già, perché essere il giocatore più rappresentativo di una grande squadra può (poteva) venir facile, ma divenire l’icona di un club del meridione come il Cagliari, da sempre isolato e decentrato e non solo per motivi geografici, pure dal mondo del calcio. Scegliere quella città, quella terra, quel popolo, come destino ha qualcosa di omerico.
E per quel giovane e impavido lombardo, orfano di padre e madre, fu come ritrovare di colpo una famiglia allargata, grande, unica.
Per questo, aveva voglia Italo Allodi ad esortarlo a fare la telefonata fatidica a Giampiero Boniperti, per abbracciare la Juventus e intascare i miliardi dell’Avvocato per antonomasia Gianni Agnelli. Niente da fare. Al cuor non si comanda. E pure a Torino lo capirono, con rassegnata signorilità.
Storie di un altro calcio, che non esiste più. Fatto di etica e di bellezza, di rispetto e di sentimenti, tutto quello che manca oggi.
Questo statuario attaccante, che col mancino folgorava i portieri avversi e di testa incornava tonitruo, era stato soprannominato da quel genio insonne che fu Gianni Brera “Rombo di tuono“, quasi fosse un vecchio capo indiano, saggio e tremendo.
Nonostante mille, dolorosi infortuni, fu campione europeo e vicecampione del mondo in Mexico, eroe di Italiagermaniaquattroatre, “quando segnai il gol decisivo mi sentii abbracciare dalle spalle con una dolcezza infinita: era Gigi“, mi confidò il Golden Boy Gianni Rivera, altro mito. Fu accompagnatore della Nazionale senza mai dare l’impressione d’essere un ex, cercato com’era da tutti i più grandi, a cominciare da Divin Codino Roberto Baggio.
Nel 1978, anno del Mondiale in Argentina, venne a Bitonto, sugli spalti del Comunale di via Megra, per una manifestazione in ricordo dell’indinenticabile prof. Nicola Rossiello. Lo intervistò, emozionato, un giovanissimo Nicola Lavacca, che già sognava di diventare giornalista, di gran vaglia.
Questo è stato GiggirrivadaLeggiuno: un monumento che custodiva i sogni di chi amava il calcio con animo puro. Per questo ci ha fatto molto male udire i fischi ignari del pubblico arabo al momento di ricordare il grande campione sardo d’adozione nell’intervallo di una Supercoppa italiana giocata in terra lontana solo per intascar danari.
L’esatto contrario di quel che avrebbe fatto Riva…