(di Donato Rossiello, Nico Fano)
Lo stato dell’economia mondiale secondo il Fondo Monetario Internazionale (il quale a ottobre ha diffuso l’aggiornamento trimestrale del suo World Economic Outlook) è in costante ripresa, dopo la lunga battuta d’arresto causata dalla pandemia, dal conflitto russo-ucraino nonché dalla crisi del costo della vita. La capacità di recupero è stata notevole, nonostante le pressioni sui prezzi dell’energia e lo stringente inasprimento delle politiche monetarie per contrastare l’inflazione ai massimi degli ultimi decenni. In base alle proiezioni la crescita, seppur disomogenea e lenta, si attesterà al +3% quest’anno (dal +3,5% dello scorso), al +2,9% nel 2024.
E l’inflazione? I recenti dati ne confermano una riduzione generale. Sorprendono le stime preliminari dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo nell’Eurozona che mostrano l’inflazione annuale al +2,9% (ottobre), in calo significativo rispetto al +4,3% di settembre e ben oltre le aspettative. Tale andamento ha indotto la Banca Centrale Europea a concedersi una pausa negli aumenti dei tassi d’interesse; difatti, dopo dieci rialzi consecutivi in soli 15 mesi, il Consiglio direttivo approva all’unanimità la decisione di mantenere invariati i tre tassi di riferimento della BCE: quelli sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi rimangono quindi rispettivamente al 4,50%, 4,75% e 4,00%.
Oltreoceano la misura dell’inflazione monitorata dalla Federal Reserve (il PCE price index core) evidenzia un netto calo nel 2023, passando dal 5,5% di inizio anno al 3,7% a/a di settembre. Ne consegue la pausa nel ciclo dei rialzi già varata dalla Fed nella riunione precedente, non escludendo però possibilità di ripartenza nei prossimi mesi. Durante la seduta del 31 ottobre e primo novembre viene confermato all’unanimità il target range dei FED Funds al 5,25%-5,50%. Le ragioni sono presto spiegate dallo stesso presidente Jerome Powell e risiederebbero nella lontananza dall’obiettivo inflazionistico del 2%. I tagli appaiono prematuri in un contesto di crescita economica e solido mercato del lavoro.
Nel Sol Levante la Bank of Japan prosegue l’approccio monetario ultraespansivo, con tassi a -0,1%. Innalzato l’outlook sull’inflazione del prossimo anno fiscale, si prevede un incremento dell’indice dei prezzi al consumo al 2,8% (ben oltre l’1,9% supposto il trimestre scorso).
In ambito azionario si registra la presenza costante del segno meno su quasi tutti i principali listini. A -2,2% l’S&P 500, a -2,8% Nasdaq, in Europa FTSE MIB a -1,8%, DAX a -3,8%, CAC 40 -3,5%, -4,4% per l’IBEX spagnolo. Il giapponese Nikkei 225 riporta un -3,1%, peggio il -4,0% dell’Hang Seng di Hong Kong.
Ottobre è stato funestato da nuove tragedie in Medio Oriente, l’attacco di Hamas in Israele ha riacceso i riflettori sulle tensioni (mai sopite) lungo la striscia di Gaza. I leader di tutto il mondo monitorano un eventuale acuirsi del conflitto e le sue ripercussioni.