Durante le mie ultime ricerche, presso la Biblioteca Eustachio Rogadeo di Bitonto, mi sono imbattuto in antichi documenti che riportano l’ormai scomparso toponimo “via Comunale Antica degli Impisi” ( “Antica strada Comunale degli Impiccati”). Questa antica arteria rurale assume tale toponimo probabilmente a seguito di soggetti ivi impiccati, questo dovuto quindi o alla presenza in loco delle temibili “forche”, luogo di esecuzioni capitali, oppure a seguito dell’ impiccagione di poveri sventurati caduti in un’imboscata dei feroci briganti. Bisogna ricordare che nelle nostre campagne in passato scorrazzavano bande di briganti come quella dei “Messere” o “Cicciomessere” di Bitonto è quella dei “Bagiacco” di Terlizzi, associazioni a delinquere di piccoli ladri che ricattavano i nuovi proprietari terrieri, Ciofferese, Traversa, ecc, obbligandoli a fornire loro quanto occorreva per vivere e scialare. Tra i briganti bitontini ritroviamo:
Emanuele e Pasquale Paparella, Giuseppe De Santis, Pietro Leongito, Francesco Tarantino, Luigi Bernardi, Francesco Paolo Curci, Gaetano Cuoccio, Francesco Fano, Francesco Cicciomessere, Natale Saccente, Vito Spadone, Giuseppe De Biase, Giovanni Antonio Berardino, Vito Centoducati, Francesco Liso.
Questa piccola arteria rurale, citata in antichi documenti, “Libro Rosso di Bitonto”, è presente sulle cartografie degli ottocenteschi atti della “Commissione Censuaria”, con il toponimo “Regione Antica degli Impisi”, unitamente ai nomi di tutti i possessori dei fondi ad essa limitrofi, ed è posizionata tra via comunale detta “Pozzo Peraggine” e via “Marescia”.
L’impiccagione, che sembra avere origine in Inghilterra, consisteva nel porre al collo del colpevole una robusta corda, detta “cappio”, che successivamente, a seguito di una violenta e fulminea sospensione della vittima nel vuoto, stringendosi causava l’asfissia e la rottura dell’osso del collo, causando in breve la morte, con ulteriore estroflessione dei bulbi oculari e della lingua. Un metodo più sommario per questo tipo di condanna a morte era caratterizzato dall’utilizzo di un grande albero, dotato di grandi e robusti rami, ai quali venivano impiccati più soggetti contemporaneamente. A volte, quando il condannato era troppo pesante, non veniva impiccato in quanto, a causa del troppo peso, la testa poteva letteralmente staccarsi. A Bitonto, vi erano altre forche permanenti, situate nel “Campo di San Leone”, “fuori Porta Robustina e Porta Pendina” e nella marina di Santo Spirito “Furche de Pedro”. Tra le varie esecuzioni capitali ricordiamo: “Venerdì 20 maggio 1490 fu impiccato Angelo di Bitetto, barbiere, il quale era lenone, ladro e assassino e rubò con certi compagni ad un armigero di re Ferdinando chiamato Altobello. Fu giustiziato presso la chiesa diruta di Santo Spirito in riva al mare e carnefice fu Macciagodalo Illirico, compensato con 10 tari.”, “1 agosto 1750, venne impiccato Francesco Castro, chiamato carne e cavoli, figlio di Mincarello, il quale con i fratelli Pasquale e Antonio Majenza sulla strada di Ruvo avevano aggredito ed ucciso un vaticale di olio. I tre vennero impiccati fuori Porta Robustina ed i loro corpi squartati e fatti a pezzi.”, “Giugno 1767, impiccagione di Donato Primavera e Domenico Castro (figlio di Francesco), accusati di stupro ed omicidio. Le teste, infilzate, vennero esposte fuori le porte della città a pubblico ludibrio, i corpi vennero bruciati in un immenso rogo fuori Porta Baresana”. A questi macabri spettacoli assisteva, come al solito, una folla avida di curiosi.