della prof.ssa Rosanna Perillo
“La violenza contro le donne non è inevitabile. Le giuste politiche e i giusti programmi portano risultati. Questo significa strategie globali e sul lungo termine, che affrontino le radici delle cause della violenza, proteggendo i diritti delle donne e delle ragazze, promuovendo un forte e autonomo movimento per i diritti delle donne.” Antònio Gutteres, Segretario Generale delle Nazioni Unite
Il 25 novembre celebriamo la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un fenomeno che non accenna a diminuire e che, al contrario, è cronaca quotidiana. Dal dossier annuale del Ministero dell’Interno emerge un dato allarmante rispetto ai dati relativi ai femminicidi: nel periodo che va dal 1 gennaio al 12 novembre 2023 sono state 102 le donne uccise in Italia per mano di partner ed ex partner.
La violenza contro le donne e le ragazze è una delle più diffuse, persistenti e devastanti violazioni dei diritti umani, al mondo. Violenza che non accenna a diminuire e che non può che interrogare le coscienze di tutte e tutti noi. Se la Giornata internazionale è necessaria per aumentare il livello di consapevolezza su questi temi, la complessità del tema della violenza di genere richiede interventi più profondi e a lungo raggio. Mi riferisco alla necessità, ormai ineludibile, di inserire, in forma trasversale e sistematica, l’educazione alle differenze nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, volta a prevenire, in particolare, le discriminazioni di genere. Se la scuola è veicolo per l’acquisizione di conoscenze, se essa ha il compito di affiancare le giovani generazioni nel loro percorso di crescita personale e di scoperta della propria identità, se ha il compito di sviluppare e potenziare le competenze, essa, allora, non può non porsi il problema di quale educazione e di quali competenze di relazione crescono e maturano al suo interno. Imparare a gestire positive relazioni umane, fondate sul rispetto e sul riconoscimento delle differenze, deve divenire compito precipuo della scuola attuale. Ne consegue che la Scuola deve essere il luogo deputato in cui vivere e sperimentare relazioni improntate al rispetto di genere, il luogo di educazione contro la violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione. Questo compito fondamentale, nel percorso di crescita delle giovani generazioni, è attribuito alla scuola anche dalla legge 107 del 2015, la cosiddetta buona scuola, che, al comma 16 dell’articolo 1, affida alla scuola, attraverso il Piano triennale dell’offerta formativa, “l’attuazione dei princìpi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all’articolo 5-bis, comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013.” Ora, il comma 2 dell’articolo 5 della legge 119 affida al Ministro delegato per le pari opportunità il compito di promuovere “un’adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere e promuovere, nell’ambito delle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, delle indicazioni nazionali per i licei e delle linee guida per gli istituti tecnici e professionali, nella programmazione didattica curricolare ed extra-curricolare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l’informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un’adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo.” Inutile dire che di tutto questo ben poco viene fatto nelle scuole, laddove, invece, persistono e si consolidano stereotipi e false rappresentazioni di genere. L’esclusivo uso di un linguaggio al maschile, la quasi esclusiva presenza nei libri di testo di figure maschili (senza spiegare il perché dell’assenza di figure femminili), la rappresentazione, ancora oggi stereotipata dei ruoli, che emerge in tanti libri di testo, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado, invece che risolverlo, consolidano il problema. Che fare allora? Non si tratta, come ovvio, di creare una nuova disciplina, ma al contrario di creare un approccio trasversale all’educazione/istruzione. L’obiettivo deve essere quello di fornire gli strumenti critici necessari per decostruire i modelli dominanti legati alle identità di genere e ad una stereotipata visione tossica del maschile, incapace di accettare la perdita, la sconfitta, il controllo possessivo sul corpo e la libertà delle donne. Abbiamo come adulte/adulti, come educatrici ed educatori una grande responsabilità morale. La povertà educativa è anche quella che si manifesta nell’incapacità di educare alla perdita, alla sconfitta, all’abbandono. La povertà educativa è anche quella che si manifesta in relazioni tossiche di dipendenza e che non riconosce l’altra/o diversa/o da sé. La povertà educativa é quella che nasce dentro una cultura patriarcale che, a fronte dei grandi passi compiuti dalle donne, e del sempre più grande bisogno di autodeterminazione e libertà delle ragazze, risponde con la sopraffazione e la violenza. La povertà educativa è anche assenza di empatia, assenza e/o disordine dell’affettività. Nell’era dei social tutto ciò è amplificato da immagini, video, rappresentazioni, linguaggio d’odio, di cui le donne sono le vittime privilegiate. Le donne sono di gran lunga le maggiori destinatarie del discorso d’odio on line. A livello europeo, una donna su dieci, dai 15 anni in su, è stata oggetto di cyberviolenza. In generale, le donne corrono più rischi di aggressioni e molestie virtuali su tutti i social media, fenomeni che sono alimentati dalla rappresentazione che si fa delle donne nella pubblicità, nei talk show, in cui il corpo delle donne è oggettificato. Non possiamo più aspettare. Siamo chiamate/i a rispondere con forza e immediatezza a un fenomeno che non accenna a diminuire. Non più violenza. Non più femminicidi. Non una di meno.