Le monete bitontine sono il più sicuro documento della dimensione politica di Bitonto nel III sec. a.C.
Ciascuna città era gelosa di apporre sulle sue monete un particolare contrassegno, che valesse, non solo a non confonderle con le altre, ma anche a segnarne l’origine.
Le città, poi, che si chiamavano colonie, conservavano i simboli e le divinità stesse delle loro città originarie, salvo poi che per loro scelta non volessero aggiungere altri segni che meglio determinassero la condizione del sito in cui vennero fabbricate, i loro studi, le loro tendenze al commercio, alle armi, all’agricoltura, alle lettere, ecc….
Le città federate a Roma coniarono le proprie monete i cui emblemi figurati o simbolici chiaramente alludono alla fede, al culto o ad una particolarità dell’ambiente fisico, naturale ed economico della città.
Seguendo l’Heads, il catalogo del Museo Britannico e lo studio del concittadino dr. Donato De Capua, riassumiamo qui appresso i tipi monetali bitontini:
Una moneta rappre-senta la testa di Pallade o Atena galeata e una Spiga con arista e foglie; dalle due parti diviso in due BYTON-TIN?N. La spiga è comune a quelle di Metaponto e di Ruvo, simbolo forse della fertilità del suolo su cui erano poste queste città.
Un’altra moneta rappresenta la civetta sul ramo d’olivo – Fascio di fulmini, sopra e sotto diviso in due BYTON-TIN?N.
Sulla seconda moneta, la civetta sul ramo d’ulivo trova riscontro nell’antica numismatica ateniese, dove la civetta era sacra a Pallade (la latina Minerva).
Il ramo di ulivo che si scorge sulle monete di Bitonto rappresenta il prodotto principale del territorio bitontino; tale pianta era dedicata alla dea Minerva, dea che si venerava presso i bitontini, i quali avevano alla stessa dedicato un tempio che sorgeva dove ora si erge la chiesa di S. Pietro de Castro.
Il Fascio di fulmini che si vede sul rovescio starebbe a significare la potenza e il dominio che Bitonto distendeva sui popoli circostanti.
Vi sono altri cinque tipi di monete che hanno tutte la scritta BYTON-TIN?N.
E’ raffigurato un uomo nudo che cavalca un delfino con una clava od una conocchia nella sinistra, ed un vaso a due maniche sulla destra, e nel rovescio un guscio di conchiglia. L’uomo nudo che si vede sulla moneta rappresenta il celebre citaredo Taras, vissuto tra il 633 e il 585 a.C., il quale sarebbe venuto dalla Grecia nelle nostre province a portare una seconda civiltà. Il guscio di conchiglia forse sarebbe indizio della gran quantità di tali fossili che abbondano sul suolo bitontino per cui è reso oltremodo fertile. Però al Taras che s’incontra sulle monete tarantine si accoppia la conchiglia che si vede pure in queste di Bitonto. L’identità dei due simboli starebbe ad indicare che la stessa colonia venuta dalla Fenicia in Taranto, avesse messo le tende anche a Bitonto. La presenza di Taras sul delfino giustifica probabilmente un rapporto di alleanza tra Bitonto e Taranto nel III sec. a.C. E’ da ipotizzare che questo rapporto si sia consolidato intorno al 282 a.C. nella guerra contro Roma, che vide l’intervento di Pirro, re dell’Epiro. E questo costò molto caro a Bitonto!
Nel British Museum sono conservati questi 3 tipi di monete (in tutto 6 esemplari) :Testa di Atena con elmo corinzio / Spiga di grano con due o quattro foglie leggenda BYTONTI?N 18-22mm; peso 5,7-8,8 gr. –Giovinetto su delfino con clava nella mano s. e cantharos nella mano d.; leggenda : BYTONTI?N, diam. 17 mm; peso 3,7-4,5 gr; – D. Civetta su ramo d’ulivo; R Fulmine alato; leggenda BYTONTI?N; diam. 17 mm, peso 3,5-4,5 gr.
Altri due tipi di monete sono stati riscontrati a Bitonto, conservati dall’avv. Serafino Santoro e riportati da Giuseppe Pasculli nel suo volume Storia di Bitonto ed altri due tipi ancora pubblicati da Antonio Castellano e dal sottoscritto, nel I Vol. della “Storia di Bitonto Narrata e illustrata”.
Si legge da un lato semplicemente BYTON-TIN?N e dall’altra vi è un granchio;
Sulla moneta è rappresentata Minerva con il cimiero ed al rovescio lo scettro di Giove e d’accosto i fulmini alati.
Tricalco con Civetta e, nel risvolto, un Fascio di fulmini che sparte la leggenda BYTON-TIN?N
Una faccia con Granchio e nel risvolto la scritta: BYTONTIN?N
La finitezza delle monete di Bitonto, riferisce in proposito l’illustre archeologo e architetto G. Comes, all’epoca italo-greca, risulta più manifesta, ove si pongono a confronto con quelle coniate sotto gli imperatori romani, i quali spinsero le loro aquile su queste province meridionali che alleate, ma non schiave di Roma, si reggevano autonome.
Le monete scoperte a Bitonto sono della classe degli Oboli, dei Dioboli e dei Trioboli o emigramme, tutte in bronzo.
Un obolo (dal greco, lo spiedo di ferro che inizialmente era usato per il baratto delle merci) era nell’antica grecia una piccola moneta divisionale con un valore di 8 Chalkus.
Inizialmente l’obolo era battuto su monete d’argento. L’obolo era anche una misura di peso. Nell’antica Grecia era definito come un sesto di dracma, cioè circa 0.5 gr. Nell’antica Roma valeva un 1/48 dell’oncia romana, cioè circa 0.57 g. Nella Grecia moderna è equivalente a un decigrammo.
Nel Medioevo avevano questo nome le monete da mezzo denaro.
Il termine è usato anche oggi nel senso figurato di piccola moneta tassa, piccola donazione o piccolo contributo.
Questa piccola moneta veniva messa sotto la lingua ai Greci morti nell’antichità, prima che fossero sepolti. Serviva a pagare il barcaiolo Caronte come pedaggio per traghettare il morto sopra il fiume Acheronte, e sopra i fiumi Cocito e Stige, nel regno dei morti, l’Ade. Ogni Greco aveva l’obbligo di dare questa moneta ai propri morti per impedire che la loro anima vagasse senza pace nel regno delle tenebre
Il diobolo era una moneta di due oboli, in uso in molte città della Grecia antica. La diobolo diobelia era il sussidio di disoccupazione di un d. al giorno concesso nell’antica Atene durante la guerra deceleica ai cittadini impoveriti dall’occupazione spartana dei territori coltivati dell’Attica. Fu assegnata anche, come indennità, a coloro che partecipavano all’assemblea popolare e, probabilmente più tardi, a coloro che si recavano agli spettacoli teatrali.
Il triobolo, antica moneta greca, equivalente a 3 oboli, cioè mezza dracma; corrispondeva alla paga giornaliera di un marinaio in guerra e all’indennità dei giudici popolari o dei partecipanti all’ecclesia.