Si attende la pronuncia del giudice per le indagini preliminari, Nicola Bonante, sulla revoca della misura detentiva, richiesta ieri, per i quattro bitontini arrestati martedì mattina dalla polizia, accusati di tentata estorsione ai danni di un imprenditore del posto. Questi avrebbero voluto riprendersi un capannone sito sulla Sp231, acquistato dalla vittima nel maggio 2022, al termine di un’asta giudiziaria dopo una espropriazione immobiliare. Gli indagati, i fratelli C. e F.M, di 53 e 57 anni, il figlio del primo, D. di 26 anni, e A.L. di 47 anni, tutti incensurati di Bitonto, hanno risposto all’interrogatorio di garanzia avvenuto nel carcere di Bari. «I miei assistiti hanno risposto puntualmente alle domande del Gip, fornendo anche una adeguata documentazione che dimostra la loro estraneità ai fatti contestati – ha spiegato il legale della famiglia, Michele Cianci -. Dalle prove documentali si evince chiaramente come l’acquisto dell’immobile già di proprietà della famiglia, che gli indagati volevano concludere, è avvenuto attraverso vie legali. Infatti, nel gennaio 2023 è stata inviata una pec alla presunta vittima – chiarisce l’avvocato -, acquirente dell’immobile oggetto del contendere, nella quale veniva spiegato come si fosse costituita una società ad hoc per l’acquisto del capannone. La cifra proposta era pari a 560 mila euro, maggiore di 60 mila euro rispetto all’acquisto immobiliare fatto all’asta dalla presunta parte offesa». In mancanza di una risposta, a febbraio 2023, a distanza di un mese, un legale «ha inviato una seconda missiva – ha aggiunto Cianci -, nella quale venivano esplicitati persino le modalità di pagamento: questa volta la risposta è arrivata dall’avvocato della presunta parte offesa, con una indisponibilità, in quel momento, alla vendita». Per questo «abbiamo richiesto la revoca della misura cautelare, proprio perché, alla luce di tali documenti, a nostro avviso, sono venuti meno gli elementi costitutivi del reato estorsivo contestato. Siamo fiduciosi e aspetteremo la decisione del gip, che si esprimerà entro cinque giorni», ha concluso l’avvocato. La pm antimafia Grazia Errede, inoltre, ha contestato agli indagati anche l’aggravante del metodo mafioso perché – si legge – avrebbero «posto in essere condizione di assoggettamento e omertà» verso le vittime, «avvalendosi del contributo di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata locale» bitontina e barese. Tra i fatti contestati, infatti, ci sarebbe anche un pestaggio, del quale gli indagati si sono dichiarati assolutamente estranei, ai danni di un collaboratore del denunciante che avrebbe subito una ferita lacero contusa al setto nasale da L. che, secondo l’accusa, sarebbe stato l’esecutore di un ordine ricevuto. «Il mio cliente ha negato gli addebiti – ha spiegato il legale di L., Giuseppe Galliani -. Sicuramente faremo richiesta di riesame contro il provvedimento al tribunale della Libertà».