DI FRANCESCA MORRELLI
Il sipario si alza e una figura seduta sulla poltroncina, quasi ripiegata, appena si intravede nel buio, mentre l’occhio di bue inquadra il “bravo” Raffaello Fusaro e la sua voce ruvida e adamantina. Legge una lettera, Fusaro, quella di una giovane donna all’uomo tutto pensoso là, al centro del proscenio.
Poi, applausi, le luci si accendono, l’uomo si leva, si sfila il lungo cappotto, staglia la sua figura sulla scena e volge lo sguardo d’intorno, ad ogni singolo spettatore venuto ad ascoltarlo al Traetta, gremito fino al quart’ordine.
Silenzio.
Il pubblico attende le sue parole, che di lì a breve si involeranno tra platea e palchi, diffondendo nobiltà e lustro, che sono nel nome di lui: Umberto Galimberti. E mentre il profumo della Verità si diffonde dalla voce immobile del professore, filosofo, psicoanalista, scrittore, giornalista, saggista, il pubblico “viandante” attraversa gli aspetti cardine della politica – sì, perché nel suo parlare c’è quella spinta propulsiva al darsi per la consapevolezza e il cambiamento della società contemporanea – di quest’Uomo, che è già Storia.
“Quando la vita era governata dal cuore. Emozioni e sentimenti nell’età della tecnica“, questo il titolo dello spettacolo, suggerito dall’attore e regista bitontino, in cartellone il 9 dicembre a Bitonto, ispirato – dice Galimberti- a Platone, per cui “la mente non si apre se prima non si è aperto il cuore“.
Di qui, anche evocando il collega francese Edgar Morin, giù a raccontare degli insegnanti e di quanto sia necessario testare la loro empatia prima che le loro conoscenze, di quanto la società che “legge le etichette del supermercato come fossero la Critica alla Ragion Pura di Kant” invece sia capace di censurare sin dalla prima infanzia l’empatia, attraverso giudizi e modelli. Un soggetto non empatico, tuttavia, è pericoloso, ed invece bisogna educare alle emozioni- queste sconosciute alla nostra età, quella della tecnica- che il professore passa subito in rassegna: paura, angoscia, gelosia, ira, riso, pianto, disgusto….
La società moderna ha al timone l’informatica che è perdita del mondo circostante, del silenzio, della libertà, che ci impone una efficienza nella funzionalità, la velocizzazione del tempo, e ci conduce ad una “schizofrenia funzionale“, un meccanismo per cui il tempo per essere ed esprimere autenticamente sè stessi è relegato a pochi minuti al giorno. Invece, l’irrazionalità, la Follia, è la salvezza dell’uomo.
Più di novanta minuti in cui questo poeta dei sentimenti narra a fiume, anche di follia e di amore. “Amore è svelare la follia dentro l’altro“, e siccome l’amore, lo svelamento della follia, cambia l’Io, facendolo uscire da ogni relazione sempre più consapevole di come vi è entrato, allora può capitare di avere tanti amori. “Ma l’amore eterno esiste“, afferma in conclusione, e il pensiero dello spettatore va alla dolce Tatjana, donna di una vita, persa nel 2008.
Dunque, età della tecnica, del pensiero calcolante, in cui si presta attenzione solo a ciò che è utile, in particolare al denaro, e qui si annodano le lunghe e approfondite letture di Heidegger, che fin dal 1968 scriveva che nella nostra società “tutto funziona senza uno scopo“. Sembra di sentir parlare un nuovo Cyrano de Bergerac che con la sua spada- la parola- “non perdona e tocca“, sferzando una stoccata anche agli astanti, quando accenna malinconicamente alla possibilità che qualcuno sia là soltanto per poter dire di esserci venuto e che il suo parlare potrebbe essere vano.
No, Professore. Noi ci siamo. La leggeremo, porteremo il suo essere ‘folle’, distonico, alternativo, prima dentro il nostro cuore e poi, se ci riusciremo, anche al cuore di chi ci circonda.