Caro Gino, ho sperato fino all’ultimo che piombasse all’improvviso un altro Gino a sfidare la Morte, guardandola dritto negli occhi senza paura. Con la sua barba un poco innevata di eroe antico, un rivoluzionario sudamericano dal cuore grande, un anarchico nel senso di innamorato solo di Monna Libertà, il difensore civico in pectore, magari con un saltellante Tsunami accanto, egli l’avrebbe fissata e le avrebbe dedicato un franchissimo: “Ma vaffanculo, stronza!“, urlato con la sua inconfondibile gorgia.
Perché Gino, carattere sassoso se ce n’è uno, era schietto come nessuno, ed era il paladino degli ultimi e defli indifesi. Lo indignavano le ingiustizie troppo diffuse fra la gente, il potere che fagocita i fragili, la mafia che serpeggia persino nei Palazzi, l’ignoranza che miete più vittime della violenza, la menzogna virale degli ipocriti. Notissimo in tutto il globo terracqueo, si ergeva impavido dinanzi alle chianche che venivano oltraggiate dall’imperizia calcolata, agli alberi amputati e uccisi dalla cecità di biechi interessi, agli invisibili del mondo che lui solo vedeva e proteggeva.
Quante battaglie palpitavano nel suo petto, tutte mosse da una visione d’insieme dei fenomeni umani che sapeva leggere con persuasiva acutezza e così la storia non aveva segreti. Ultimamente, dopo mille feroci guerre, anche i tuoi occhi si erano fatti stanchi. Anche quelli di tuo fratello Tonino, ieri sera, erano tristi. La notizia del crudele tuo capolinea – causa la solita Bestia – già vorticava per le strade della nostra città, ma nessuno ci voleva credere, perché un cavaliere antico – sì, da giovane andavi pure a cavallo in centro- è incrollabile, indistruttibile, immortale. Piazza Cattedrale, piazza Aldo Moro, l’ospedale, i capolavori artistici, i lecci, gli ulivi, l’aria che respiriamo, la natura ferita dalle troppe discariche: loro sì che vorrebbero dirti grazie, oggi.
Chissà se medesima gratitudine proveranno i bitontini, che da te dovevano sentirsi meglio rappresentati che da altri. Ma quante avventure nella tua vita incredibile ed emozionante come un romanzo. La giovinezza a studiar teatro a Firenze, gli Anni di piombo e la polizia che cerca Aldo Moro a casa tua, le aggressioni che non esitavi a bollare come fasciste, le tue intemerate nei raduni degli anarchici lungo lo Stivale, il tuo antiPrimo Maggio.
Non ti andavano a genio tanti tuoi concittadini, ma volevi bene al tuo professore di italiano della media, mio padre. “Uè, Gì”, ti saluterà appena ti vedrà sbucare di tra le nuvole, come faceva quando incontrava i suoi ex alunni che reputava galantuomini. E alle sue spalle, vedrai scodinzolare Bimbo che cercherà il tuo abbraccio d’amore e tu, finalmente, sorriderai placato…