“Le bimbe sono a Palo del Colle, con la nonna. Io e mia moglie, invece, ne abbiamo approfittato per fare il Cammino Materano. Bellissimo riscoprire la mia terra. Troverò ispirazione per il mio lavoro? Penso proprio di sì”.
Per Liberato Manna, le vacanze pasquali sono state un’occasione per salutare la sua famiglia d’origine e ricaricare le pile prima di tornare nel suo laboratorio. Quello di Nanochimica dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, di cui è responsabile, dove realizza “puzzle” di atomi e molecole per dare vita a nuovi materiali.
La nuova sfida si chiama NEHA (Nanoscale Epitaxial Heterostructures Involving Metal Halides, ma anche “amore” in hindi), dal nome del suo progetto di ricerca di eccellenza, premiato qualche settimana fa dall’European Research Council (ERC).
Una borsa del valore di 2 milioni e mezzo per i prossimi cinque anni per il chimico palese, al suo terzo finanziamento da parte dell’ente europeo. Dopo lo “Starting Grant” del 2009 e il “Consolidator Grant” di cinque anni dopo, il 51enne ha ottenuto ora un “Advanced Grant”, ovvero il riconoscimento che l’ERC assegna solo a ricercatori “senior” con una comprovata esperienza scientifica e risultati significativi nell’ultimo decennio.
Obiettivo del suo studio estendere la gamma di materiali solitamente utilizzati nei componenti ottici ed elettronici, andando così oltre ai semiconduttori più tradizionali.
“Un aspetto molto importante è dato dalla possibilità di accoppiare due materiali semiconduttori in modo che nella regione di interfaccia in cui essi si toccano vi sia una corrispondenza perfetta nella disposizione degli atomi. Queste interfacce, dette epitassiali, garantiscono un flusso controllato e modulabile di elettroni fra i due componenti”, spiega Manna.
Esempi di materiali studiati e implementati sinora sono stati il silicio, il germanio e l’arseniuro di gallio. Ma il chimico propone di utilizzare anche alogenuri metallici, come il comune sale da cucina.
“Abbiamo fatto delle scoperte negli ultimi tre anni e stiamo già sviluppando prototipi di interfacce – confessa il chimico -. In una di esse, cercheremo di convertire l’anidride carbonica in molecole “utili”, in un’altra cercheremo di fabbricare nuovi concetti di rivelatori di radiazioni. Queste potranno anche servire ad aumentare la stabilità di celle solari e potranno essere inglobate nei comuni vetri delle finestre per realizzare dei concentratori solari”.
Un lavoro complesso e ambizioso, che richiederà la collaborazione delle Università di Bologna, di Milano Bicocca, di Anversa, di un centro di ricerca di Bilbao e dell’Istituto di Cristallografia del CNR di Bari. Oltre che tutta la caparbietà del palese.
Una dote imparata tra i banchi di scuola del liceo scientifico di Bitonto e all’Università di Bari, dove ha conseguito la laurea e il dottorato in Chimica. Anni di studio che “sono stati l’equivalente degli allenamenti a Sparta” scherza Manna. “I docenti mi hanno dato la forma mentis e improntato all’impegno”, oltre che trasmesso la passione per materie come filosofia, matematica, fisica e storia “che mi aiutano nella mia professione”.
“L’amore per la chimica è nato quasi per caso. Ma è affascinante creare qualcosa quasi dal nulla” racconta il professore, a Genova dal 2009, dopo aver lavorato negli Stati Uniti al Lawrence Berkeley Lab (2001-2003) e per sei anni al National Nanotechnology Lab di Lecce.
“È un campo in cui è necessario studiare e lavorare sodo – il consiglio del 51enne ai più giovani -. La competizione è forte ed internazionale”.
Ma la ricerca in Italia è possibile? “Sì. Abbiamo poli molto attrattivi con grandi professionisti. Ma bisogna essere bravi e concreti per ottenere i fondi europei, necessari per gli studi”.