Il Venerdì Santo è molto sentito dai bitontini in maniera particolare perché esso si ricollega alle solenni processioni che, sino al rinnovo della sintassi liturgica conciliare, occupavano l’intera giornata. La notte fra giovedì e venerdì, per le vie della città torme di penitenti seguono le bande locali che intonano le maliose marce funebri appositamente composte nei secoli XIX e XX dai concittadini Francesco Carelli e Pasquale La Rotella, veri cantori del dolore ricordati in uno studio dal musicologo Nicola Moerea.
All’alba del Venerdì sino agli anni cinquanta si snodava dalla chiesa ex-conventuale di San Domenico la processione dei Misteri Dolorosi:
Gesù inginocchiato vicino ad un tronco di ulivo (Criste a r’aloje);
Flagellazione ( Criste alla chelonne);
Gesù amantato di porpora e coronato di spine (Criste che la Crauce ngudde);
Il calvario (gruppo scultoreo composto di tre elementi: Crocifisso, Maddalena e San Giovanni;
Gesù adagiato sulla culla e portato al sepolcro (la Neuche);
lAddolorat (la Madonna ca cerche u figghie).
Ho
Consultando il volume dello storico Antonio Castellano “Il Venerdì Santo a Bitonto”, apprendiamo che di tale processione vi è traccia già a partire dalla fine del Seicento. “Era un bel spettacolo” scrisse nel 1680 Bartolomeo Maiullari in un opuscolo “L’arcano della Perpetuità” a proposito di una atletica penitenziale, una processione svoltasi nel centro urbano di Bitonto l’anno precedente, e questo saggio dell’accademico bitontino è senza dubbio il più valido documento che abbiamo sulla religiosità e spiritualità barocca in Puglia. Nella sua descrizione corrono, difatti, tutte le componenti del fasto, dello spettacolo, della drammatizzazione, della teatralità post-controriformistica in cui risiedono le origini di quelle manifestazioni devozionali, congregazionali che ancora oggi sopravvivono e trovano il loro acme nella Passio Domini del Venerdì Santo. La processione disposta in undici squadroni con ordinata simmetria, si snodo da Porta Baresana verso la cattedrale. Era aperta da un sacerdote scalzo e “penitentiato”, proceduto da un trombettiere vestito di nero che intonava lugubri melodie. Seguiva la grande Croce ornata di tutti i misteri della Passione di Cristo portata da mortificati e scalzi attorniati da angioletti e chierici con candele accese. Seguivano gli squadroni composti da confratelli di varie congregazioni religiose, di arti, mestieri e militari. Emergevano quelli dell’Oratorio del Santissimo Sacramento con neve e cappe lunghe, aspersi di cenere e contornati di spine, nonché quelli del Presidio composto da 150 soldati con armi rimesse e sospese sulle spalle più per riceverne peso, che per ornamento, e preceduti da tamburi e bandiere tinte dal “colore di quelle Parche che sogliano le guerre seminar nelle campagne, onde si miete la gloria”. Concludeva il lungo corteo il Vescovo della città cui, “per saggio di heroica umiltà”, faceva da caudatario il Reggio governatore circondato dal Vicario, Canonici, Parroci con “un coro di Musici penitenti, quali con flebili canzoni, accompagnavano una Bara dove stava distesa la statua del Nostro Signore morto, pianto da calde lacrime di molti populani” Nello squadrone della nobiltà il Sindaco reggeva il Crocifisso attorniato da schieri di angioletti con vari misteri della Passione, da sacerdoti con “composizioni lascivi” e libri proibiti da destinare al fuoco.
Ecco alcune foto di inizio Novecento inerenti la Solenne Processione del Venerdì Santo a Bitonto, tratte dalla collezione privata del signor Nicola Castellano.