Tra le novità delle elezioni politiche del 2013, quella più rilevante fu, senza ombra di dubbio l’affermazione di un movimento dai forti toni antipolitici e populisti: il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Un personaggio che, per certi versi, ricorda Guglielmo Giannini, che nell’immediato secondo dopoguerra fu leader del Fronte dell’Uomo Qualunque. Ad accomunarli, narrazioni incentrate su sfiducia, disillusione e odio verso la classe politica nella sua interezza e verso il sistema dei partiti, da sinistra a destra, antipolitica come base del pensiero, uso di nomi storpiati in modo ironico e dispregiativo per indicare e ridicolizzare gli avversari politici, denuncia degli “alti costi della politica”, volontà di dar voce all’uomo comune, l’uomo della strada, e agli scontenti del sistema politico.
Grillo non era certo un personaggio nuovo alle cronache politiche. Già negli anni ’80 divennero celebri i suoi attacchi contro i partiti della Prima Repubblica. Dal palco di Fantastico 7, popolare trasmissione di intrattenimento andata in onda sulle reti pubbliche nell’86, che pronunciò quello che ancora oggi rimane una delle sue più celebri battute satiriche contro la corruzione in politica.
Parlando del viaggio in Cina dell’allora ministro socialista Martelli e del presidente del consiglio Bettino Craxi, il cui Psi rappresentava all’epoca il simbolo per eccellenza della politica corrotta, disse: «La cena in Cina… c’erano tutti i socialisti, con la delegazione, mangiavano… A un certo momento Martelli ha fatto una delle figure più terribili… Ha chiamato Craxi e ha detto: “Ma senti un po’, qua ce n’è un miliardo e son tutti socialisti?”. E Craxi ha detto: “Sì, perché?”. “Ma allora se son tutti socialisti, a chi rubano?».
Una battuta che causò il suo allontanamento dalla televisione di Stato. Tornato in Rai, nel 1993, grazie all’insediamento di un nuovo consiglio di amministrazione, condusse sul primo canale, in piena Tangentopoli, il suo Beppe Grillo Show, programma che gli consentì di lanciare le sue pesanti accuse davanti ad un vastissimo pubblico. Allontanato nuovamente dalle reti Rai e Mediaset, approdò a Tele+. All’interruzione di questa ennesima esperienza televisiva seguì il suo passaggio dai mass media ai teatri e alle piazze, dove costruì gradualmente un diverso rapporto col pubblico. Più incentrato sulla costruzione di un legame più diretto con i suoi sostenitori. Ma, nonostante l’allontanamento dalla tv, la storia di Beppe Grillo è legata a doppio filo con l’evoluzione delle tecnologie dell’informazione. Utilizzando prima la televisione e poi internet, per trenta anni, ha potuto lanciare i suoi violenti anatemi populisti contro la classe politica.
Le tecnologie digitali permisero, infatti, a Grillo di risalire agli onori della cronaca, riconquistando quello spazio che non trovò più nei media tradizionali.
Grazie al web, organizzò, l’8 settembre 2007, il V-Day (abbreviazione di Vaffanculo-Day), un’iniziativa dai connotati fortemente antipolitici, patrocinata dal comico genovese, a cui parteciparono numerosi volti noti dello spettacolo e della cultura. Era finalizzata a presentare una legge di iniziativa popolare che riprendesse le intenzioni di “Parlamento pulito”, idea lanciata nel giugno 2005, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla presenza di parlamentari condannati in via definitiva dalla magistratura. L’iniziativa fu una delle prime di natura politica in Italia ad utilizzare internet come mezzo di diffusione principale. La campagna pubblicitaria dell’evento si servì, infatti, di Meetup, Flickr, Google e YouTube, oltre che di siti web, blog personali e forum.
Per Grillo, l’uso di internet fu non solo utile allo sviluppo dell’iniziativa, ma indispensabile per superare l’ostracismo dei media tradizionali, che diedero scarsissima attenzione nei giornali o sui telegiornali, prima dell’evento. Dal giorno successivo, l’iniziativa di Grillo fu, invece, ampiamente commentata dai media e dagli esponenti politici. Il successo dell’iniziativa permise di superare abbondantemente la quota minima di cinquantamila firme necessarie per presentare la proposta di legge sul divieto di candidatura per i condannati in via definitiva, sull’ineleggibilità per più di due mandati e sulla reintroduzione della preferenza diretta.
Nel 2009, dopo un fallito tentativo provocatorio di candidarsi alle primarie del PD, fondò un proprio movimento, il Movimento 5 Stelle, soggetto politico costruito interamente intorno al proprio fondatore. Sin dal principio il M5S identificò la propria organizzazione con il web. Nessuna sede o sezione. L’agorà del movimento è la rete, dove ognuno può dire la sua. I partiti, invece, nell’ideologia populista di Grillo, devono essere annientati e devono restituire ai cittadini i miliardi di euro drenati grazie alle leggi sui rimborsi elettorali. Ma internet, per il comico genovese, non è in grado di sostituire solo i vecchi partiti, ma anche la stampa, vista sempre come nemica, in quanto dominata dai grandi gruppi editoriali. Dunque, niente più finanziamenti ad entrambi. All’informazione basta la rete.
Concetti, questi, espressi anche a Bitonto, quando, nel 2008, si collegò via Skype durante un comizio di Giuseppe Cannito, candidato sindaco della lista Amici di Beppe Grillo, primo precursore del Movimento 5 Stelle, aggregazione di liste civiche che si riconoscevano intorno al guru genovese: «Vi fanno inceneritori, inceneritori, rigassificatori, discariche, senza mettervi al corrente di niente. Venite a sapere le cose quando vedete una gru o un bulldozer ed è ormai troppo tardi»
In quel comizio Grillo ebbe modo di sfoggiare tutti i suoi cavalli di battaglia. A cominciare dall’ambientalismo e dal giustizialismo: «Avete davanti una lista di ragazzi che rappresentano qualcosa di unico nel panorama politico italiano. Sono incensurati. È un miracolo».
Continuando con veementi manifestazioni di populismo antipartitico e antiparlamentarista: «La nostra è una politica dal basso. La facciamo adesso. Bisogna entrare nei comuni. Non serve il parlamento. Lì stanno delirando. Ci sono solo dei vecchietti. Le elezioni politiche non servono a niente. È una presa per il culo votare alle politiche, mentre è di fondamentale importanza votare alle comunali. Hanno già fatto i giochi e l’esito è già deciso. Se noi riuscissimo a mandare in comune uno di questi ragazzi, solo uno, piccolo magro e leggero, in grado di creare un canale di trasparenza attraverso il web, che metta in rete tutto quello che succede nei vostri comuni, che documenti quel che vanno i vostri dipendenti, pagati da voi, in casa vostra. Non sapete nulla. Lì ci sono solo funzionari di partito che fanno quel che dice loro il partito. Non quel che dicono i cittadini. Voi pagate i loro superstipendi senza conoscere nulla. Mettete in comune uno di questi ragazzi e cambierà la vostra città. Ve lo garantisco».
Una situazione il cui rimedio è la rete «veicolo di conoscenza».
«Perché, una volta al mese, il consiglio comunale di Bitonto non si tiene lì, in piazza Padre Pio (luogo che ospitò il comizio, ndr) a chiedere a voi cittadini se volete o meno l’inceneritore, la discarica, il rigassificatore, come si fa nei paesi civili come la Danimarca?» continuò il comico, accusando anche l’informazione attraverso slogan utili ad accendere la folla, ma che prescindevano da un’effettiva conoscenza della realtà bitontina, dal momento che proprio in quel periodo, con la nascita di testate online come BitontoLive o BitontoMyBlog, l’offerta dell’informazione cittadina aumentò sensibilmente: «Siamo a livelli di conoscenza zero».
Argomento, questo su cui tornò invitando ad apporre le firme per il secondo V-Day: «Il 25 aprile a Bitonto farete un baracchino, per raccogliere firme per togliere i finanziamenti alle televisioni e ai giornali, che sono dei servi di gruppi politici ed economici. Via i finanziamenti, via l’ordine dei giornalisti, fatto da Mussolini ed esistente solo nel nostro paese. Se in un paese non ha un’informazione libera, non c’è libertà».
Un discorso in realtà fallace, dal momento che Grillo dimenticava o, meglio, ometteva un concetto fondamentale: che la dipendenza da finanziamenti privati era alimentata proprio dalla riduzione dei finanziamenti pubblici, creati anni addietro proprio per attenuare il fenomeno denunciato dal comico.
Non solo. La denuncia dell’assenza di libertà di stampa è spesso stata contraddetta dalla preconcetta ostilità degli stessi pentastellati a giornalisti che, in più occasioni, sono stati insultati, cacciate dagli eventi e inseriti in liste di personaggi sgraditi che non si addicevano ad una forza politica che predica maggior democrazia. Senza dimenticare l’uso strumentale di classifiche sulla libertà di stampa in cui l’Italia sarebbe in posizioni non favorevoli. Grillo, infatti, ometteva che gli standard utilizzati non comprendono solamente il rapporto tra governo e stampa, ma anche lo strapotere dei gruppi imprenditoriali, l’azione della criminalità (ne è un esempio il Messico, dove la grande libertà garantita dal governo è annullata dai cartelli della droga sempre assetati del sangue dei cronisti).
Il web permise a Grillo anche di sopperire alla sua incapacità al dialogo e di tramutare la sua predilezione al monologo in forza. Il blog beppegrillo.it, attivo sin dal 2005, è stato per alcuni anni tra i più frequentati siti internet italiani e uno dei blog più visitati al mondo. Servendosi di una nutrita comunità virtuale di lettori del blog, Grillo ha promosso iniziative di notevole impatto mediatico.
Snobbando televisione e giornali, parlava solo tramite il proprio blog o dal pulpito e conoscendo i rischi del web, non replica mai alle critiche, lasciando che siano i suoi “grillini” a farlo. Questo suo non abbassarsi ne aumentò il ruolo di guru. Il tutto con un linguaggio violento atto ad intercettare un risentimento sempre crescente nell’opinione pubblica. Un linguaggio caratterizzato dal turpiloquio, dall’autocelebrazione, dall’uso di metafore belliche, di generalizzazioni e di soprannomi, con il quale ha costruito la sua immagine di “fustiga-casta”.
«Arrendetevi! Siete circondati» disse Grillo dal palco del V-Day rivolgendosi alla classe politica.
In realtà, dietro la retorica del ruolo salvifico del web, dietro il populismo antipartitico e antipolitico, dietro la demagogia direttista alla base di una piattaforma Rousseau che avrebbe dovuto permettere agli attivisti di valutare, caso per caso, la linea del partito garantendo maggiore trasparenza (spesso di facciata), si celava una natura del movimento che era per certi versi simile alla tanto odiata Forza Italia di Berlusconi. Non solo perché si trattava di movimenti costruiti attorno alla figura del leader carismatico. Non solo perché entrambi sono espressione di un populismo antipolitico, se pure con diverse accezioni. Ma anche perché, se dietro Forza Italia c’era l’impero mediatico dell’imprenditore milanese, in modo più nascosto, dietro il M5s, c’era una società privata: la Casaleggio Associati del guru delle comunicazioni Gianroberto Casaleggio, passata, dopo la morte di quest’ultimo, al figlio Davide. La stessa società che fu dietro, ricordiamo, ad un altro esperimento, nel 2007, che vide protagonista il web: l’avventura in Second Life di Antonio Di Pietro, al tempo del suo idillio con Beppe Grillo.
Casaleggio, con la sua società, si servì anche di notizie false diffuse ad arte attraverso diversi siti web, come appurarono anche alcune inchieste del portale di informazione statunitense BuzzFeed. Notizie che hanno contribuito anche ad alimentare un complottismo che, in più occasioni, è stato parte integrante della narrazione grillina. Lo si è visto anche in Puglia, con l’emergenza della xylella, i cui tentativi per frenarla hanno visto, dall’altro lato, un’ostilità di diversi esponenti del M5s che ha influenzato anche la magistratura e ha favorito la diffusione.
Ma torniamo a noi.
Gli attivisti crearono anche a Bitonto un portale web, oggi non più esistente, www.beppegrillobitonto.it, con il compito di dare tutte le informazioni riguardanti l’attività sul territorio della nascente associazione “Amici di Beppe Grillo – Bitonto”. Oggi lo spazio web della sezione locale dei pentastellati è bitonto5stelle.it.
Il Movimento 5 Stelle, che di lì a poco avrebbe inglobato tutte le liste grilline d’Italia, si presentò nuovamente alle comunali nel 2017, con il candidato Dino Ciminiello. Alle politiche del 2013 e del 2018, i pentastellati riuscirono ad eleggere prima Francesco Cariello e poi Francesca Ruggiero. Il primo uscì di lì a qualche anno, dopo essere stato accusato di non aver restituito gli emolumenti ricevuti mentre era alla Camera dei Deputati. Un’imposizione dettata dal populismo insito nel M5s e nella stessa parola “restituzione” che lascia intendere come i soldi per la politica siano un “maltolto” ai cittadini. Lo stesso populismo che, qualche anno dopo, fu alla base della campagna referendaria per la riduzione del numero dei parlamentari.
Nonostante l’ottimo risultato del 2013, il Movimento 5 Stelle non riuscì ad andare al governo, non avendo i numeri e rifiutando qualsiasi alleanza con altre forze. Ostilità peraltro comprensibilmente ricambiata. Non fu così nel 2018, che videro la nomina di Giuseppe Conte a capo dell’esecutivo, prima con la Lega di Salvini e poi, dopo una crisi di governo, con il Partito Democratico: due degli avversari sempre osteggiati. Elemento che contribuì a ridimensionare i consensi del Movimento. Ma il principale motivo del calo fu proprio il ruolo di governo, inconciliabile con l’anima stessa del Movimento. È, infatti, impossibile per un movimento antipolitico, che ha fatto della critica alla politica la sua sola linfa vitale, sopravvivere ad un ruolo che impedisce di coltivarla ulteriormente. E così, come una lama a doppio taglio, l’antipolitica ferì anche chi l’aveva brandita fino a quel momento. Come era capitato a tanti prima dei pentastellati.
Ma torniamo, per un’ultima volta al 2013, per sottolineare un altro aspetto: il forte riscontro che il soggetto politico di Beppe Grillo ebbe anche a sinistra. Un aspetto di cui parlò anche Domenico De Santis, oggi segretario regionale del Partito Democratico in Puglia, che nel 2013 scrisse il libro “La sinistra che vota Grillo”.
Il libro fu presentato nel 2013 a Bitonto, a Palazzo Vulpano, dall’autore. In quella occasione, anche il sociologo Onofrio Romano: «Il successo del M5s è dovuto al venir meno della funzione politica nella determinazione della realtà, all’idea che la politica non debba intervenire. Una concezione frutto di anni di egemonia liberale. È venuta meno l’idea di un collettivo che prima discuta e poi decida, per lasciare il posto alla ricerca di un leader salvifico come Berlusconi, Grillo o Renzi. In Italia quando la sinistra ha cercato di proporre un vero cambiamento ha trovato sempre un ostacolo insormontabile nell’alleanza tra le forze della conservazione e le forze radicali».