(di Donato Rossiello, Nico Fano)
Il 2023 è iniziato con i migliori propositi, certo, ma le rosee aspettative sono state sostenute dai dati confortanti – il mese di gennaio ha infatti registrato un buon andamento per i principali indici azionari, soprattutto in Europa (Eurostoxx a +9,3%) e nelle economie emergenti (MSCI Emerging Markets a +7,9%); queste ultime trainate dal grande rimbalzo cinese (+12,3% del MSCI China). Tra i listini del Vecchio Continente si sono distinti quello italiano (+12,7% il FTSE MIB) e spagnolo (+10,3%), seguiti da Francia e Germania (+9,5% il CAC40 e +8,6% il DAX). Più contenuto il recupero di Stati Uniti (S&P 500 a +6,3%), Giappone (Nikkei 225 a +4,7%) e Gran Bretagna (+4,3% il FTSE 100).
Dopo i picchi record dell’anno appena trascorso il prezzo del gas naturale europeo ha continuato a scendere nelle recenti settimane, riportandosi sotto quota 60 euro/MWh, ovvero sui minimi da settembre 2021. La discesa del gas continentale ha dissipato i timori di una crisi energetica e conseguenti razionamenti o ripercussioni a livello produttivo/industriale; complice in tal senso anche il clima favorevole, con l’inverno mite a determinare un livello elevato di scorte.
Da noi restano l’incertezza geopolitica, limitazioni delle condizioni finanziarie delle famiglie e una pressione inflazionistica ancora tenace, elementi che concorrono a frenare spesa e produzione. Eppure ci sono degli elementi che fungono da contrappeso: i “colli di bottiglia” nelle catene produttive si stanno man mano risolvendo, i salari aumentano e si registra un’ottima tenuta del mercato del lavoro. Poi risulta comunque migliore delle attese (-0,1%) la modesta crescita a +0,1% del PIL nell’Eurozona.
Tornando all’inflazione, a gennaio per il terzo mese consecutivo è proseguito il calo del valore complessivo, sino all’8,5% dal picco di 10,7% toccato ad ottobre. Un esito tuttavia da imputare principalmente alla succitata discesa dei prezzi energetici, non è un caso che il dato core si attesti stabile sulla cifra record del 5,2%. Da qui l’approccio implacabile della BCE, che nella riunione datata 2 febbraio annuncia l’innalzamento dei tassi di riferimento di ulteriori 50 punti base e mostra l’intenzione di attuare una mossa simile anche nel meeting di marzo. Cautela.
In USA il presidente della Federal Reserve Jerome Powell ha riconosciuto l’avvio di un processo di disinflazione, pur ribadendo la necessità di maggiori conferme/progressi affinché la Fed possa ritenersi soddisfatta dell’efficacia dei propri interventi.
Potremmo riassumere che il recupero evidenziato sino a febbraio è significativo. Sono probabili imminenti pause nel rialzo dei tassi da parte della Banche Centrali. Prematuro risulta parlare invece di tagli e “pivot” [ricordate?].
La percezione degli investitori sul quadro macroeconomico appare quindi decisamente migliorata se rapportata a qualche mese fa. La solida tenuta dell’economia globale e i chiari segnali di decelerazione dell’inflazione sembrano aver sortito effetti sull’umore generale. Con prospettive incoraggianti non resta che attendere inneschi cruciali.