Il referendum del 12 e del 13 giugno 2011 inaugurò un decennio in cui a Bitonto il tema ambientale è stato più e più volte protagonista delle cronache e delle battaglie politiche, a partire dalle lotte contro l’insediamento di nuove discariche.
Tra i temi sottoposti al voto popolare, infatti, vi fu il nucleare. Che già era stato oggetto di accese campagne ambientaliste nel 2003, quando la Murgia tra Puglia e Basilicata fu scelta come uno dei siti individuati dal piano del commissario del governo Carlo Jean, volto ad individuare un sito unico nazionale per lo stoccaggio scorie nucleari. L’area scelta, ricordiamo, fu quella detta “campo dei missili” a causa dell’esistenza, a cavallo tra anni ’50 e primissimi anni ’60, di una base militare Nato dotata di missili in grado di ospitare testate nucleari puntate verso Mosca.
A livello nazionale, invece, il tema del nucleare era tra i quesiti del referendum del 1987. In quell’occasione, la vittoria del sì impedì che l’Italia prendesse la via del nucleare per l’approvvigionamento energetico. Ad influenzare in tal senso l’opinione pubblica era stato il drammatico incidente della centrale nucleare di Cernobyl’. E, per una tragica coincidenza, anche l’appuntamento referendario del 2011 fu preceduto da un disastro che, se pure fu molto meno drammatico di quello dell’87, ricordò all’opinione pubblica i pericoli del nucleare. Parliamo dell’incidente nucleare di Fukushima, sulla costa pacifica del Giappone, quando a causa di un fortissimo terremoto e conseguente maremoto, la locale centrale nucleare fu danneggiata da un’onda di 13 metri di altezza che provocò l’allagamento di alcuni ambienti e lo spegnimento dei sistemi di raffreddamento. Il che fu, a sua volta, causa di alcune esplosioni non nucleari che danneggiarono la struttura. Il bilancio dei morti fu molto meno grave di quello di 24 anni prima in Unione Sovietica. Un solo morto a fronte dei 64 (esclusi quelli morti successivamente a causa delle esposizioni alle radiazioni. Ma l’incidente inquinò gravemente l’area circostante. E rinforzò i movimenti che si opponevano al nucleare.
Ma torniamo ai referendum del 2011. Il primo quesito chiedeva l’abrogazione dell’art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria». Norma di stampo liberista introdotta dal governo Berlusconi, che consentiva di affidare la gestione del servizio idrico e dei servizi pubblici locali di rilevanza economica solo a soggetti privati scelti a seguito di gara ad evidenza pubblica o a società di diritto pubblico con partecipazione azionaria di privati, consentendo la gestione in house solo ove ricorressero situazioni del tutto eccezionali, che non avrebbero permesso un efficace ed utile ricorso al mercato. A proporlo era stato il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, contrario ad una norma che, di fatto, obbligava il passaggio a una gestione privata o mista pubblico-privato.
Il secondo quesito prevedeva l’abrogazione di parte dell’articolo 154 del Codice Ambiente (decreto legislativo n. 152/2006) che disponeva che la tariffa per il servizio idrico fosse determinata tenendo conto dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito. Anche questo quesito fu promosso dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, realtà nata nel 2006 dall’unione di comitati territoriali, organizzazioni sociali, sindacati, associazioni e singoli cittadini che si battevano per l’acqua bene comune, la sua gestione pubblica e partecipativa in una visione olistica. L’opposizione alla norma era legata alla volontà di svincolare la gestione dell’acqua dal profitto. «L’acqua pubblica senza profitto è un diritto” fu lo slogan scelto per sostenere la battaglia che si rivelò vincente.
Al nucleare era dedicato il terzo quesito, che invocava l’abrogazione del decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, introdotto sempre dal governo Berlusconi che consentiva la produzione nel territorio nazionale di energia nucleare. Norma che, dopo l’addio al nucleare sancito dal referendum del 1987, apriva le porte al ritorno in Italia dell’energia dell’atomo. Fu promosso dall’Italia dei Valori e il Comitato “Vota SI per fermare il nucleare” fu composto da gran parte del movimento ambientalista e del mondo dell’associazionismo italiano.
Il quarto quesito fu promosso sempre dall’Italia dei Valori, ma l’argomento era totalmente diverso. Si puntava all’abrogazione della disciplina differenziata del legittimo impedimento a comparire in udienza, applicabile ai soli titolari di cariche governative. Norma che, per l’opposizione era una delle diverse e famigerate leggi ad personam dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi.
Nonostante una partecipazione che nei decenni sarebbe stata notevolmente più alta, il quorum del 50% più 1 fu superato e, in tutta Italia, a votare andò il 57% degli aventi diritto. E, per tutti i quesiti, a vincere fu il sì. Molta più alta fu dunque l’affluenza rispetto all’appuntamento referendario del 2009, quando a votare si recò solamente il 23% degli italiani aventi diritto e l’astensione fu usata come arma politica per far fallire la battaglia referendaria. Il 16,5% fu l’ancor più basso dato dell’affluenza a Bitonto. Segno che il tema ambientale era ancora molto sentito da buona parte degli italiani.
I favorevoli all’abrogazione delle norme sotto accusa furono il 95,35% per il primo quesito, il 95,80% per il secondo, il 94,05% per il terzo e il 94,62% per il quarto. Il referendum, dunque, passò.
Nella media nazionale il risultato bitontino. L’affluenza fu del 55,80%. I sì al primo quesito furono il 97,4%, al secondo il 97,8%, al terzo il 96,3%, al quarto il 96,7%.