Il Parco Nazionale dell’Alta Murgia ha presentato i risultati del progetto “Il tartufo nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia”, uno studio scientifico per la valorizzazione del pregiato fungo ipogeo, portato avanti con il Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti (Di.S.S.P.A.) dell’Università degli Studi di Bari. Le numerose azioni – svoltesi nell’arco di un anno e condivise a monte con l’assessorato all’Agricoltura della Regione – hanno previsto di individuare le specie di tartufo presenti nel Parco, stimarne le produzioni, valutare lo stato dell’ecosistema tartufo, stabilire il numero di autorizzazioni rilasciabili per non esaurire la risorsa e definire le modalità di raccolta in un’ottica di sostenibilità ambientale.
I risultati sono stati illustrati a Gravina, nella sede del Parco, dal Prof. Giovanni Luigi Bruno, docente del Di.S.S.P.A. e responsabile scientifico del progetto, alla presenza del presidente Francesco Tarantini, dell’assessore regionale all’Agricoltura Donato Pentassuglia e dei rappresentanti della Federazione Nazionale Associazione Tartufai Italiani, Associazione Nazionale Tartufai Italiani, Associazione Nazionale Tartufai Italiani Regione Puglia, Associazione Regionale Pugliese Tartufo e Associazione Tartufai Alta Murgia.
Anche quest’anno saranno settanta nel Parco dell’Alta Murgia le autorizzazioni rilasciate per la raccolta dei tartufi, un numero suggerito dallo studio e motivato dal clima degli ultimi anni segnato da lunghi periodi di siccità, ma anche dall’esigenza di non alterare gli ecosistemi che caratterizzano le aree di raccolta e non arrecare disturbo alla fauna. L’ambito è regolamentato dalla Legge regionale 8/2015 che indica le modalità di raccolta e i periodi in cui è consentita, limitando le quantità giornaliere di tartufo che ciascun cercatore può raccogliere.
Le aree oggetto di studio sono state il bosco “trullo di sopra” e “trullo di sotto” (tra Gravina e Poggiorsini), il bosco di Acquatetta (tra Spinazzola e Minervino), il bosco di Castel del Monte (Andria), il bosco Murgia Città (Bitonto), il bosco di Quasano (Toritto) e la foresta Mercadante (tra Altamura e Cassano). Se risultano due le specie più comuni di tartufo presenti nel territorio del Parco, il bianchetto (Tuber borchii) e lo scorzone (Tuberum aestivum), il dato più rilevante emerso è l’assenza di tartufi in tutti i boschi presi in esame: un’annata magra nella Murgia e riscontrata in tutta Italia a fronte del caldo e dell’estrema siccità. Il tartufo, infatti, vive e si riproduce solo in presenza di una combinazione ottimale di fattori climatici e vegetazionali, che vede in equilibrio precipitazioni, temperature e benessere delle piante tartufigene.
La ricerca condotta ha previsto la predisposizione di schede di monitoraggio, l’individuazione di tutti i cercatori di tartufo autorizzati dall’Ente Parco, la somministrazione di questionari, la raccolta e l’analisi dei dati e infine la valutazione delle incidenze sugli ecosistemi, come previsto dall’art. 4 della Legge regionale 8/2015.
«Valorizzare un’eccellenza, esaltarne le qualità e promuoverla nella filiera agroalimentare – ha dichiarato il presidente Francesco Tarantini – Con tali finalità l’Ente Parco ha firmato una convenzione di ricerca con l’Università degli Studi di Bari, per sviluppare un approccio sostenibile utile alla ricerca e raccolta del tartufo, che coniughi crescita economica e conservazione dell’ambiente naturale. Per facilitare il processo abbiamo chiesto all’assessorato all’Agricoltura della Regione di attivare un comitato tecnico per monitorare le attività di raccolta, conservazione e commercializzazione dei tartufi e alle associazioni tartuficole la sigla di un protocollo d’intesa per valorizzarli al meglio».