Arriva inesorabile un altro 30 dicembre. Il quinto. È passato un lustro da quando quella mattina, dalle 7.30 circa, si susseguirono ben quattro sparatorie. L’ultima, sotto la pioggia di 17 proiettili, portò alla morte dell’innocente Anna Rosa Tarantino. Sì perché quella anziana donna di 84 anni, stava semplicemente tornando a casa dopo la messa. Le videocamere di sorveglianza ripresero bimbi, donne, uomini, passare da quelle strade, da via delle Vergini, dall’arco di via Le Martiri, in un giorno di pre vigilia. Lì ci poteva essere chiunque quando quei due uomini, armi in pugno, scesero dai tetti ad eseguire un ordine preciso. Sparare chiunque fosse capitato a tiro del clan avverso: lì dove imperversava la lotta alla supremazia per lo spaccio di stupefacenti. Soltanto quest’anno abbiamo visto la conclusione di quelle lunghe ed articolate indagini delle forze dell’ordine, che hanno portato in carcere tantissimi affiliati ai due gruppi criminali avversi. Ma nel frattempo, dentro di noi, cosa è cambiato? Dentro di noi abbiamo preso consapevolezza dell’innocenza di quella donna? Che fatti del genere non devono accadere mai più? La città è diventata più forte? La società civile guarda negli occhi la realtà, prendendo le distanze da atteggiamenti omertosi, vigliacchi, giustificatori? Siamo tutti figli di Anna Rosa. Siamo tutti figli che ogni anno, ancor più forte, dovrebbero piangere quella donna, quella sarta, che ancora oggi prova a tenerci uniti sotto l’egida della legalità, dell’amore.