Più passano i giorni, i mesi, gli anni – non è figura retorica, ma il lento, mesto scandire del tempo, che ne suggerisce una di un altro tipo – e più la “questione Palazzetto” assume contorni amaramente grotteschi. A cavaliere fra i Settanta e gli Ottanta del secolo scorso, Bitonto ne aveva uno che era l’invidia di tutta la Puglia. A volerlo con ostinazione fu il dottor Franco Nacci, un politico “comme il faut”, secondo nobile etimo. L’opera nasceva con un vulnus, certo, la natura tripartita del suolo su cui sorgeva, ma intanto donava alla città quarant’anni di sport e a decine di generazioni di giovani infiniti sogni, anche di gloria. Ma, intanto, il problema restava e nessuno, nonostante il corposo numero di lustri passato, ha provato a risolverlo. Il palleggio delle responsabilità dei vari enti coinvolti è la garanzia inoppugnabile del fatto che nessuno se le prenderà. Fino all’abbandono e allo sfacelo di oggi. Quando, però, il problema è stato superato con un’altra abile mossa: il PalaBorsellino, tensostruttura elevara grazie al Pon “Io gioco legale”, che si proponeva come obiettivo l’integrazione e l’inclusione sociale dei giovani per orientarli al rispetto delle regole”. Insomma, niente campionati federali. Ma l’occasione era troppo ghiotta per non farsela bitontinamente sfuggire di mano. Quindi, venivano ospitate gare ufficiali di diverse discipline ed era una boccata d’ossigeno per tanti infaticabili operatori del settore, pur permamendo la pecca d’origine. Motivo per cui era necessario traslocare al momento di fare sul serio. Adesso, con la presentazione del Piano Triennale delle opere pubbliche, il progetto di jn nuovo impianto su questo già esistente. Come se la nostra città non potesse permettersene più d’uno. Sentiamo quel che ha da dire un uomo che allo sport ha dato e continua a dare tanto: “Ma perché non possiamo avere un contenitore per ospitare grandi eventi? Rischiamo di rimanere un paese limitato da una “forma mentis” gretta. Siamo davvero poveri culturalmente: vien voglia di lasciare tutto. Passa il tempo, ma non cambia mai nulla”. Infine, tutta la sua profonda delusione: “Uno che partorisce l’idea di un palazzetto limitato, senza pensare che non hai altre infrastrutture sportive, e con quelle dimensioni non si può organizzare alcun evento o manifestazione importante, dovrebbe ripensare seriamente al senso del suo incarico. È una delusione continua. È una città morta ormai”. E temiamo non ci sia molto da aggiungere…