Parlando delle elezioni amministrative e politiche del 2008 abbiamo menzionato uno dei nuovi protagonisti di quelle tornate elettorali, il Partito Democratico che, dal 2007 in poi continua ad essere uno dei maggiori protagonisti della politica italiana, nonché il maggior partito del centrosinistra.
Nacque ufficialmente il 14 ottobre 2007, a seguito della fusione tra i Democratici di Sinistra, la Margherita e altre forze minori. Una fusione che, tuttavia, già negli anni precedenti era stata teorizzata e auspicata. Nel 2003 Michele Salvati (Ds), in alcuni articoli pubblicati sul Foglio e la Repubblica, auspicò un nuovo partito, nato dalla «riunione di tutte le correnti riformistiche moderate della storia italiana di cui tanto si è parlato a proposito dell’Ulivo, per formare così un partito di sinistra moderata». Un’idea ripresa da Romano Prodi che due anni dopo creò la lista Uniti nell’Ulivo, formata da Democratici di Sinistra, La Margherita, Socialisti Democratici Italiani e Movimento Repubblicani Europei. Lista che alle europee del 2004 ottenne un buon successo, eleggendo ben 25 europarlamentari. Successo che ci fu anche nelle successive regionali del 2005 e alle primarie indette nel 2006 che sancirono la nomina di Prodi a leader della coalizione.
Primo segretario fu Walter Veltroni, nominato a seguito della vittoria alle primarie del 14 ottobre 2007. Le liste a lui collegate vinsero con il 75,82%, contro le altre collegate agli altri candidati: Mario Adinolfi, Rosy Bindi, Pier Giorgio Gawronski, Jacopo Schettini Gherardini, Enrico Letta.
Il 69,70% fu la percentuale di consensi raggiunta da Veltroni a Bitonto e frazioni. Giovanni Procacci, nelle liste di Veltroni, fu eletto nel collegio nazionale del partito, mentre Giuseppe Rossiello fu eletto nell’assemblea regionale a fianco del segretario vincitore delle primarie Michele Emiliano, sindaco di Bari. Viene eletto, sempre nell’assemblea regionale anche Emanuele Sannicandro, in lista con i Democratici per Letta.
«Una festa della democrazia che incoraggia tutti alla responsabilità» fu il commento di Procacci nei suoi ringraziamenti pubblicati sulle pagine del Da Bitonto di ottobre 2007.
Quello per Veltroni fu un vero e proprio plebiscito: raccolse più del 75% dei consensi, superando di gran lunga gli avversari.
E così, alla sua nascita, il Pd iniziò a formarsi secondo l’idea di Veltroni che, come Nichi Vendola, era riuscito, tramite il web a catapultare su di sé un fortissimo consenso e tramite i video. Un partito che, come sottolinea Michele Prospero in “Il partito politico”, nello stile voleva imitare l’omologo americano: più liquido e meno strutturato rispetto ai tradizionali partiti di massa, personale, presidenzializzato e costruito attorno alla figura del segretario legittimato dalle primarie. Sotto la presidenza dell’ex sindaco di Roma, il PD fu un partito liquido, personale e mediatico, a conduzione fortemente leaderistica. E così, i DS, un partito socialdemocratico erede del PCI, di cui lo stesso Veltroni era stato segretario dal 1998 al 2001, fu inglobato in un nuovo soggetto politico che inseguiva il modello dominante nell’arena politica italiana. Un partito che inseguiva le orme del berlusconismo.
Veltroni vide nei media, nella comunicazione e nelle tecnologie strumenti utili per raccogliere più efficacemente un vasto consenso. La videopolitica divenne così il principale modus operandi del nuovo attore politico. Alla militanza e all’organizzazione furono predilette le tecniche del marketing, che consentivano a Veltroni di agitare un messaggio semplificato, una narrazione accompagnata da immagini forti, spezzoni di film e interviste storiche. Dal celebre monologo di Charlie Chaplin, contenuto nel suo capolavoro Il grande dittatore, alle interviste di Gorbaciov e Kohl dopo la caduta del muro di Berlino. Dal Martin Luther King di I have a dream a Vittorio Foa che racconta la Resistenza. Da Alcide De Gasperi che a Parigi difende l’Italia alla Conferenza di Pace al Bettino Craxi contro la Casa Bianca durante la crisi di Sigonella. Da John Fitzgerald Kennedy ad Enrico Berlinguer, da Benigno Zaccagnini a Gandhi.
Immagini evocative che gli consentirono di raccogliere un ampio pubblico soprattutto di giovani. Quei giovani che lo seguirono poi nella sua campagna elettorale per le primarie e per le politiche del 2008, sventolando cartelli e bandiere che riportavano il suo nome, nello stile delle campagne elettorali americane. Era, dunque, una campagna del tutto personalizzata intorno alla figura di Veltroni, con lunghi monologhi e slogan orecchiabili ma sprovvisti di una vera e propria cultura politica. Ma quel grande seguito di giovani non si tradusse in un rafforzamento della macchina di partito. Il profilo del partito nell’età veltroniana era quello del partito professionale ed elettorale che è debole nel suo tessuto organizzativo e disinteressato al compito di diffusione di una cultura politica e alla progettazione di un’organizzazione (Michele Prospero, “Elogio della mediazione”)
Un tentativo che, però, andò incontro ad un devastante fallimento alle elezioni politiche del 2008, che spinse il Pd ad abbandonare il progetto veltroniano. La finta legittimazione avuta dalle primarie e l’inseguire l’avversario con i suoi stessi mezzi non gli bastarono per sconfiggere Silvio Berlusconi.
La sconfitta spinse il Partito Democratico a rigettare questo modello organizzativo personale e presidenzializzato, per riprogettare una forma partito più congeniale ad una democrazia rappresentativa rinnovata.
Quel modello ternerà, se pure in modalità differenti con la parentesi renziana, di cui parleremo in seguito.
Il Partito Democratico, forse, è oggi l’unico partito, o comunque tra i pochi, in cui è presente una maggiore sensibilità all’autonomia della politica ed è percepita l’esigenza di rinvigorire le strutture organizzative. Ma qualsiasi tentativo in tal senso va a confliggere con la predilezione per la partecipazione liquida del popolo delle primarie ad una più strutturata e organizzata, dal sistema maggioritario che tende ad inseguire alleanze utili alla vittoria, al costo di sacrificare le identità e dai personalismi che proprio le primarie tendono ad esasperare.