I risultati dello studio sostenuto da Fondazione AIRC sono stati pubblicati oggi sul Journal of Hepatology Reports.
Fino a pochi anni fa la maggior parte delle patologie tumorali del fegato erano associate alle infezioni da epatite B e C. Oggi invece è noto che il tumore del fegato più frequente nei soggetti tra i 55 e 75 anni è l’epatocarcinoma che si sviluppa in soggetti senza infezione, apparentemente sani, che non avvertono alcun sintomo, ma che a livello del fegato già presentano una condizione patologica di steatosi, ossia un accumulo di grasso che può portare a una successiva fibrosi.
L’epatocarcinoma è considerato dalla European Association for the Study of Liver Disease un tumore “metabolico”. Nei soggetti dismetabolici, infatti, l’eccessivo accumulo di grasso nel fegato provoca un’infiammazione delle cellule, determinando una vera e propria epatite da grasso e conseguentemente una fibrosi epatica. Tale condizione costituisce un terreno molto fertile per lo sviluppo dell’epatocarcinoma.
Nell’ambito degli studi sul metabolismo e il cancro del fegato, il gruppo di ricerca coordinato dal professor Antonio Moschetta, presso l’Università “Aldo Moro” di Bari, ha dimostrato che nei soggetti con fibrosi epatica, un basso livello di colesterolo HDL, conosciuto anche come “colesterolo buono”, è associato a una maggiore probabilità di sviluppare l’epatocarcinoma e sembra poter predire la malattia già cinque anni prima della diagnosi. Nello studio, sostenuto da Fondazione AIRC, i ricercatori hanno analizzato i parametri clinici, ecografici ed ematochimici di oltre 1000 soggetti, sospetti pazienti con problemi metabolici, seguiti presso la Clinica Medica Universitaria “C. Frugoni”, diretta dal professor Carlo Sabbà, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Bari.
“Gli individui che hanno sviluppato epatocarcinoma nei successivi cinque anni, alla prima valutazione al tempo 0, mostravano livelli più bassi di colesterolo HDL, a parità di fibrosi epatica – afferma il professor Moschetta, coordinatore dello studio. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Hepatology Reports, la rivista scientifica edita dalla European Association for the Study of the LIver Disease EASL. Prosegue Moschetta: “Inoltre, selezionando i pazienti che hanno poi sviluppato il cancro tra coloro che cinque anni prima avevano basso colesterolo HDL, abbiamo osservato che questi ultimi, a parità di colesterolo HDL basso e fibrosi epatica, mostravano un significativo aumento del girovita, che è una misura dei depositi di grasso a livello del tessuto adiposo viscerale e un segno di infiammazione dell’organismo”.
Regolarizzando il metabolismo del paziente è possibile far regredire la fibrosi. Quindi, la scoperta che un singolo biomarcatore ematico possa predire con largo anticipo la diagnosi di epatocarcinoma, potrebbe permettere di identificare i soggetti a rischio, prima ancora che sviluppino sintomi specifici. In altre parole, potrebbe essere possibile prevenire questo tipo di cancro, tramite modifiche nutrizionali e/o farmacologiche.
Nell’articolo, la cui prima autrice è la dottoressa Lucilla Crudele, si confermano le precedenti scoperte del gruppo sul ruolo del metabolismo del colesterolo nei processi della cancerogenesi. Inoltre si dimostra ancora una volta l’importanza di una nutrizione e di comportamenti e abitudini salutari, quali modalità essenziali per aumentare i livelli di HDL nel fermare lo sviluppo del cancro e nel sottrargli l’energia per crescere.
“Oggi sappiamo – conclude Lucilla Crudele – che un soggetto che ha fegato grasso e basso colesterolo HDL associato a un aumentato girovita ha un rischio aumentato di sviluppare l’epatocarcinoma entro i successivi cinque anni. Queste informazioni ci permettono di seguire questi pazienti, anzi, ci obbligano a farlo, con ecografie puntuali e ripetute, e a dare loro indicazioni per modificare il proprio stile di vita al fine di ritornare a una condizione ottimale per proteggersi e ridurre il rischio di sviluppare il cancro”.