Si è tenuta, la scorsa settimana, l’inaugurazione dell’Anno Accademico 2022-2023 dell’Università dell’Anziano “Domenico Pastoressa” presso l’Aula Magna del 1° Circolo Didattico “Nicola Fornelli”. Durante la serata, è stato premiato con una targa come socio onorario il preside prof. Michele Giorgio.
Ecco, di seguito, la relazione del nuovo presidente Valentino Losito, consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti.
“Buon pomeriggio a tutti e a ciascuno di voi,
un saluto ai “fedelissimi” che hanno rinnovato la loro iscrizione al nostro sodalizio e ai tanti nuovi soci che hanno aderito all’Università dell’Anziano. Insieme riprenderemo il cammino di questa prestigiosa realtà socio-culturale bitontina, nata dalla lungimiranza e dalla passione educativa del preside Domenico Pastoressa e che nel corso di 34 anni di vita e attività ha potuto contare sul contributo e l’impegno generoso, gratuito e appassionato di tanti soci. Mi piace qui salutare e il preside prof. Michele Giorgio che rappresenta la memoria storica e la continuità dell’Università, fino al nostro amato presidente Marco Vacca.
Come vedete abbiamo una nuova “casa”. Dopo molti anni abbiamo dovuto lasciare la storica sede di via Matteotti, per le nuove e ampliate esigenze dell’Istituto Comprensivo “Carmine Sylos” che ringraziamo per la lunga ospitalità. Abbiamo quindi bussato alla porta del 1° Circolo Didattico “Nicola Fornelli”, riscontrando l’immediata e generosa disponibilità della dirigente prof. Anita Amoia alla quale a nome di tutto il Consiglio Direttivo e di tutti i soci esprimo profonda e sentita gratitudine. Ovviamente tutto questo non sarebbe stato possibile senza il decisivo concorso dell’Amministrazione Comunale e in particolare del sindaco, avv. Francesco Paolo Ricci che ringraziamo.
Dicevo che abbiamo una “nuova casa”, anche se in realtà si tratta, in un certo senso, di un ritorno a casa. Nella memoria collettiva dei bitontini infatti, almeno quelli delle nostre generazioni, questa è la scuola per antonomasia. Molti di noi hanno mosso qui i primi passi del proprio percorso scolastico e restando alle parole “circolo didattico” mi piace questa idea di un ciclo, di un corso storico di vita. Siamo tornati nelle stesse aule dove abbiamo iniziato a conoscere l’alfabeto scolastico e abbiamo aperto il dizionario della vita.
I latini dicevano che a scuola “non impariamo per la scuola ma per la vita”: dopo aver percorso il nostro cammino scolastico più o meno lungo ed essere poi andati a scuola dalla vita, torniamo a questa scuola, è quasi il segno di una conclusione, ma di un compimento. E’ bello pensare a questo continuo rimando tra scuola e vita di cui noi possiamo ben dire di essere testimoni.
Dicevo che oggi riprendiamo il cammino. Già questo ritrovarci, questo stare insieme, è importante, è un valore. Viviamo un tempo ricco, straripante di connessioni virtuali, ma spesso povero di relazioni umane, reali. Torniamo a guardarci, dobbiamo tornare a costruire – come diceva il grande filosofo Lévinas – la civiltà dei volti e non sprofondare nella rete dei selfi, delle immagini mordi e fuggi. Ogni nostro volto, il volto di ognuno di noi è unico e prezioso e costituisce un tassello importante per costruire questo mosaico di umanità.
Ripresa dunque, ma non è, non può essere una ripresa usuale, ordinaria. Per tutto quello che è avvenuto in questi ultimi due anni e mezzo, possiamo ben dire che si tratta forse di un nuovo inizio, di un ricominciamento. E a pensarci bene, se è vero che c’è stato un fermo, una sosta forzata della nostra attività accademica, non è vero che in questo periodo non siamo andati a scuola. Ci siamo andati, eccome! Abbiamo avuto i compiti a casa da un maestro sconosciuto e severo, il Covid-19 che ci ha costretto ad andare a ripetizione di molte materie: il dolore, la paura, la malattia, l’isolamento. Ancora una volta la scuola della vita. Il Covid ci ha insegnato, ci ha ricordato che siamo fragili e preziosi, per questo affidati gli uni nelle mani degli altri.
Ma se oggi abbiamo deciso, vecchi e nuovi iscritti, di essere soci di una università della terza età, vuol dire che in noi è ancora forte l’esigenza e la voglia di continuare a conoscere ad imparare. Abbiamo cioè deciso di vivere questa stagione della nostra vita, come un tempo per coltivare nuovi interessi, per conoscerci e riconoscerci, un’età in cui grazie al ritrovato tempo libero, possiamo frequentare gli altri e valorizzare la nostra sfera sociale ed affettiva. Abbiamo scelto di non isolarci per continuare ad apprendere e a metterci in gioco. La cultura e l’arte possono svolgere un ruolo fondamentale per conoscere nuove dimensioni, mentre la lettura consente di mantenere allenata la memoria. Non solo la nostra memoria personale ma anche quella collettiva.
Nel suo recente messaggio in occasione della Giornata Internazionale delle Persone Anziane, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha detto che “se oggi viviamo in un Paese democratico, economicamente progredito, dotato di una Carta costituzionale che tutela i diritti inviolabili dell’uomo lo dobbiamo agli anziani, portatori di un patrimonio di valori che abbiamo il dovere di consegnare integro alle generazioni future”.
Come ho avuto modo di scrivere subito dopo essere stato eletto presidente, a noi viene chiesto questo nuovo compito, questo nuovo servizio: seminare, continuare a seminare anche nel quarto tempo della vita. Seminare quando si è giovani è naturale anche se non sempre facile, seminiamo nella nostra vita familiare, professionale, sociale con l’umana e legittima speranza nel raccolto. Seminare nel quarto tempo della vita invece è un’operazione in pura perdita, perché si ha la consapevolezza che non si riuscirà a vedere il raccolto.
E questa del seminatore è la prima immagine alla quale mi piace accostare la figura del nostro amato presidente Marco Vacca. Lui ha continuato a seminare anche nel quarto tempo della sua vita e lo ha fatto nel campo dell’Università dell’Anziano, con impegno, generosità, spirito di servizio, gratuità e di amore per Bitonto, ma tutta la sua vita, anche negli altri tre tempi precedenti al quarto, è stata una testimonianza di servizio e di impegno in favore della città.
Quando in una comunità un presidente prende il posto di chi lo ha preceduto in quell’incarico, si ricorre ad una frase fatta, si dice che ne raccoglie l’eredità. Quando usiamo questa parola cioè “eredità” il primo pensiero, la prima dimensione alla quale ci viene di associarla è quella dei beni monetari e immobiliari, alla ricchezza, insomma ad una specie di tesoro.
Ed ecco allora che dopo l’immagine del seminatore, mi sovviene un’altra immagine evangelica o meglio un’altra pagina evangelica che si trova nel Vangelo di Luca (12,32-48) quando dice “dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”. Allora se noi cerchiamo di riscoprire dove era il cuore di Marco Vacca, riscopriremo dove era il suo tesoro e quindi qual’ è la vera eredità che ci ha lasciato, come bitontino a tempo pieno, non solo nel quarto tempo della sua vita e non solo come presidente dell’Università dell’anziano.
Affidandoci alla memoria e in qualche modo ad una sorta di geografia dell’anima noi possiamo provare a disegnare l’ideale percorso che Marco Vacca ha compiuto nell’attraversare, servendola, la nostra città. Possiamo partire proprio da via Matteotti e dall’Università dell’Anziano, per fare poi tappa in quelle che sono state le abitazioni delle sue famiglie, quella originaria in via Magenta angolo via Rossini e poi da marito e padre in via Ammiraglio Vacca e via Massimo D’Azeglio. Le sue scuole: la “Giovanni Modugno” in via Crocifisso, la “Cassano” in via Salvemini e la “Don Milani” nel centro storico in via Saponieri. E poi le sue parrocchie di appartenenza, da quella iniziale di Sant’Andrea e poi Cristo Re Universale e il Santuario dei Santi Medici, alle tante altre parrocchie dove ha prestato servizio, facendosi maestro di fede per tanti bambini. E poi il palazzo municipale su Corso Vittorio Emanuele, dove è stato consigliere e assessore comunale e come dimenticare l’attività nell’UNLA in via Garibaldi e il “Cinema Migliore” in fondo a via Ruggiero Bonghi e le sale cinematografiche cittadine, veri luoghi della sua anima? E ultime, ma non ultime, le tante, nascoste, umili, periferiche case dove si è fatto prossimo degli ultimi, dei più poveri, nella sua testimonianza di vincenziano.
Ho voluto ripercorre brevemente e forse in modo superficiale ed incompleto questa mappa della vita di Marco Vacca a Bitonto, per dire e ribadire che lui è stato un uomo di buona volontà, un maestro, un cittadino a tutto tondo e in tutta la sua vita è stato un uomo della e nella città. E credo che Bitonto e non solo la Università dell’Anziano, hanno e avranno il dovere di farne memoria, soprattutto concreta, continuando nella luminosa scia del suo esempio al servizio della città. Credo cioè che dobbiamo confrontarci con quella che è stata l’intera esistenza di Marco Vacca e con quello che la sua ricca e feconda testimonianza continua a raccontarci.
Marco è sempre stato parte viva di Bitonto. Ecco perché, quando abbiamo stampato la tessera per questo nuovo Anno Accademico della nostra Università, ho proposto al Consiglio Direttivo di mettere a frontespizio la frase di un grande anziano italiano, Piero Angela, che prima di lasciarci ci ha invitato a “fare anche noi la nostra parte per questo nostro difficile Paese”.
Marco Vacca ha sempre fatto la sua parte per questa difficile città, pagando spesso anche di persona, per la coerenza del suo impegno. Ora tocca a noi, continuare a fare la nostra parte per Bitonto, attraverso l’Università dell’Anziano. Dobbiamo farlo tutti, sentendoci sempre docenti e discenti allo stesso tempo gli uni degli altri, apprendendo da chi ha avuto la capacità e la possibilità di frequentare quelle che una volta venivano definite “le scuole alte”, ma avendo anche l’umiltà di imparare dalla saggezza di tante persone che non hanno grandi studi alle spalle, ma che pure portano dentro di loro il profumo di un grande patrimonio di sapienza.
Ci guideranno, in questo nostro impegno, non solo gli esempi di Marco Vacca, del preside Domenico Pastoressa e dei tanti che, nel tempo, si sono prodigati con generosità nel nostro sodalizio, ma anche le parole del nostro Statuto ribadite dal nostro Regolamento. Scopo dell’Università dell’anziano infatti – come recita l’art.3 – non è solo quello di “contribuire alla promozione culturale dell’anziano attraverso l’attivazione di corsi, di lezioni e dibattiti su argomenti specifici” ma anche di “favorire la partecipazione dell’anziano alla vita culturale e sociale attraverso la realizzazione di iniziative concrete nelle quali abbia una funzione attiva”.
Questo è dunque il sentiero sul quale siamo chiamati a camminare, da anziani, ma proprio per questo come uomini e donne sempre attenti ai segni dei tempi e pronti a guardare lontano. Concludo ringraziandovi per la pazienza e l’attenzione che avete voluto riservarmi, per la fiducia che mi avete accordato e soprattutto per tutto il lavoro che faremo insieme”.