(di Donato Rossiello, Nico Fano)
Lo scenario economico/geopolitico mondiale dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina (il 24 febbraio scorso) è profondamente cambiato. L’Occidente ha imposto forti sanzioni, le quali stanno di fatto estromettendo la Russia dal sistema finanziario e dagli scambi commerciali internazionali con USA, Europa e svariati altri partner. Numerose multinazionali hanno già abbandonato del tutto le attività all’interno del Paese. Buona parte delle riserve in valuta estera della Banca Centrale russa è stata congelata, costringendo quest’ultima ad alzare i tassi d’interesse dal 9,5% al 20% e introdurre pressanti controlli sui capitali nel tentativo di contrastare il deprezzamento del rublo, il deflusso di capitali o l’aumento dell’inflazione. Molte società russe (e lo Stato stesso) sono a rischio di default.
Gli effetti sull’economia russa appaiono drammatici quindi. L’attenzione degli analisti si estende alle possibili ripercussioni su scala globale. Sebbene Russia e Ucraina “pesino” insieme soltanto il 2% del PIL globale, i potenziali canali di trasmissione del conflitto sono diversi.
Da un punto di vista finanziario i legami tra il governo di Mosca e il resto del mondo sono modesti, se consideriamo che gli investimenti diretti reciproci rappresentano solo l’1-1,5% del totale complessivo. Il Fondo Monetario Internazionale tranquillizza persino sull’eventuale default sovietico, sostenendo che tale occorrenza non comporterebbe alcun rischio sistemico.
In ambito commerciale ed energetico la più esposta Europa registra una quota di export verso queste due nazioni per meno dell’1% del PIL. Di contro, i due Paesi rivestono un ruolo più rilevante come produttori ed esportatori di materie prime – basti pensare che sommati essi coprono circa il 30% dell’export globale di farina e il 20% di quello di mais nonché di minerali fertilizzanti.
Il Vecchio Continente appare ancora dipendente dalla fornitura di materie prime energetiche e cruciale è il ruolo del Cremlino, con il suo 40-45% delle esportazioni di gas naturale, il 27% di quelle di petrolio e 46% di carbone. Non è un caso che l’Europa non si sia del tutto allineata ad USA e altri Paesi NATO nell’applicazione di un embargo sull’import di prodotti energetici russi (tranne per il poco influente carbone), poiché c’è il rischio che l’aumento dei prezzi energetici si ripercuota su famiglie e imprese, portando a un rallentamento dei consumi e delle attività produttive.
La condizione di incertezza sulle prospettive future rimanda alcune decisioni di spesa e di investimento. Nell’Eurozona il sentiment dei consumatori a marzo registra un calo, inficiato dall’aumento dei prezzi dei beni di consumo (in particolare carburanti); migliori delle attese sono apparsi invece gli indici PMI e gli indicatori relativi alle imprese.
La crisi in atto, come spesso accade, potrebbe far rallentare alcuni trend (soprattutto nel breve termine) ma allo stesso tempo accelerarne altri, come la sicurezza energetica, cibernetica o militare, la tanto agognata transizione ecologica, stimolare una maggiore cooperazione in Europa, creando significative opportunità per l’economia reale e non solo.