Dal Partito Democratico Bitonto riceviamo e pubblichiamo:
Cos’è il “welfare generativo”
Da diversi anni ormai è stato dichiarato superato un modello di welfare – definiamolo “assistenziale”- basato quasi esclusivamente su uno Stato che raccoglie e distribuisce risorse tramite il sistema fiscale e i trasferimenti monetari.
Serve invece un welfare che sia in grado di rigenerare le risorse disponibili,
responsabilizzando le persone che ricevono aiuto, al fine di aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali a beneficio dell’intera collettività. Questo è il “welfare generativo”.
La società, in quanto tutto, riguarda tutti.
Un partito che si collochi nella famiglia dei socialisti e democratici ha una grandissima battaglia da combattere. Una battaglia culturale all’interno dal pensiero unico liberista, che consiste nel riabilitare la società come soggetto. Sembra infatti aver riscosso un successo schiacciante l’ideologia individualista del self made man, dell’individuo che ce la fa da sè perché ha un talento e si impone su tutti i concorrenti e a dispetto di tutte le condizioni.
Scomparsa la società, scompare la regolamentazione sociale delle funzioni economiche.
Di qui l’idea, assai diffusa, secondo cui la povertà non sarebbe una conseguenza di un cattivo funzionamento dell’economia, dell’istruzione, dell’urbanistica, della sanità, delle politiche abitative, della società tout court, ma semplicemente e fatalmente una conseguenza di un deficit dell’individuo, o al massimo della sua famiglia.
La criminalità non prospera solo in condizioni di sottosviluppo, è tuttavia innegabile che povertà ed esclusione sociale alimentino illegalità diffusa e criminalità organizzata, che a loro volta rendono difficile combattere la povertà e sostenere i processi di inclusione sociale.
Se da una parte, quindi, esiste indubbiamente un nesso circolare tra criminalità e povertà che opera nelle “trappole di arretratezza”, dall’altra, la criminalità può costituire anche un fattore autonomo di ostacolo allo sviluppo economico e sociale, anche dove esso sia già avviato e perfino dove sia consolidato. Lo studio di queste complesse relazioni tra povertà e criminalità non ha solo un interesse speculativo. Da esso dipende sia l’efficacia delle politiche volte a combattere fenomeni sociali degenerativi che minacciano la nostra convivenza civile, sia l’idea stessa che abbiamo del nostro vivere collettivo e, in definitiva, dei valori, delle identità e degli interessi del mondo in cui viviamo.
Il mondo come la nostra città, Bitonto 52.000 abitanti e una cattiva reputazione, a causa dell’incidenza, nella percezione della qualità della vita, dei reati contro il patrimonio (furti d’auto, d’appartamento, nelle campagne) e di comportamenti antisociali (risse, aggressioni, infrazioni ripetute ed ostentate del codice della strada, eccetera).
Politiche culturali, di promozione del territorio, di attrazione di investimenti produttivi si scontrano con lo stigma di una popolazione residente incivile e ostile. Stigma che naturalmente diventa stereotipo incancellabile. La visione entro la quale vogliamo collocare la nostra discussione e le proposte conseguenti, è quella di una nuova impostazione culturale della lettura dei fenomeni criminali a Bitonto, sottraendoli alla narrazione
fatalistica e deterministica di certa retorica reazionaria, proiettandoli piuttosto in un quadro sociale in forza del quale il nostro compito sarebbe quello di potenziare gli interventi sociali di tipo generativo a beneficio delle famiglie, delle scuole, dei minori.
è in questi luoghi, è presso questi soggetti che si combatte il fenomeno criminale.
Ne parleremo con:
Piero D’Argento, Docente LUMSA Taranto, Responsabile tecnico del Programma di Assistenza agli Ambiti Territoriali Sociali di ANCI;
Felice Addario, Assessore al welfare del Comune di Corato;
Gaetano De Palma, Assessore al welfare del Comune di Bitonto.
A moderare la discussione Marco Tribuzio.