Una ecatombe. Che non dimenticheremo mai, anche a 108 anni di distanza.
Centoquarantasei lavoratori nostrani, minatori, andati negli Stati Uniti per avere una vita migliore, un lavoro che desse da mangiare a loro e alle proprie famiglie, spazzati via in pochissimi secondi, tra l’indifferenza di tanti e la beffarda giustizia d’oltreoceano.
Il disastro di Dawson è il secondo incidente minerario più cruento dopo quello di Monongah (1907, oltre 300 le vittime) nella storia degli Stati Uniti d’America e della emigrazione italiana.
Oggi, a 108 anni dal fattaccio, Dawson è una città fantasma del New Mexico, come tante altre rimaste dopo la corsa all’oro e le chiusure delle miniere dei diversi tipi, ma all’inizio del ‘900 una comunità di quasi 9mila abitanti ci viveva.
Nel 1906 i dirigenti dell’industria mineraria avevano finanziato la fondazione del Paese costruendo case per i minatori, l’ospedale, negozi, un cinema, piscina, un campo da golf e collegamenti ferroviari con diverse città. In pochi anni arrivarono molti minatori italiani ai quali si accodarono cinesi, polacchi, tedeschi, greci, britannici, finlandesi, svedesi e messicani.
Tre anni prima, però, e quindi nel 1903, nella prima miniera si erano verificati incendi seguiti da esplosioni che uccisero tre minatori. Tutti sapevano, quindi, che quelle miniere erano pericolose per diversi motivi, ma i minatori avevano necessità di lavorare per sostenere le proprie famiglie e il 20 ottobre 1913 un’ispezione delle autorità aveva avuto esito positivo riguardo alle condizioni di sicurezza sul lavoro.
Due giorni dopo, la catastrofe. Un’esplosione ha disintegrato la miniera numero due, facendo vibrare il suolo sino a quasi quattro km di distanza. Restarono uccisi 263 minatori e altri due della squadra di soccorso morirono durante le operazioni di aiuto. Inutile dire che i minatori italiani erano la maggioranza:146. Diventati cadaveri. Le indagini hanno stabilito che era stato usato esplosivo di tipo non consentito dalla legislazione mineraria e i minatori non erano sufficientemente lontani dal sito dove furono poste le cariche esplodenti, contrariamente a quanto contemplato dalle leggi. Nonostante questo, però, inspiegabilmente, nessun dirigente minerario è stato indagato, quindi le miniere hanno ripreso a funzionare dopo alcuni provvedimenti per garantire maggior sicurezza di lavoro ai minatori.
E (quasi) niente è cambiato anche dopo un altro incendio, questa volta dieci anni dopo. Altri 123 operai che hanno perso la vita, di cui 20 italiani. Questa volta la causa scatenante è stato il deragliamento di un treno carico di carbone. E c’è da aggiungere una beffa: molti dei morti erano figli di quei minatori periti nell’incidente del 1913.
Le miniere hanno chiuso soltanto dopo il secondo dopoguerra, perché il carbone non era più richiesto dal nuovo sistema industriale, e perciò Dawson si è svotata rapidamente da tutti in pochi mesi. È restato solo il cimitero con i suoi tanti nomi e cognomi italiani sulle croci bianche. E che dal 1992 è diventato museo nazionale d’importanza storica.