DI ANGELA ANIELLO
Sarà che la terra del passato, imbastita di vento e fantasmi, impregna il cuore di emozioni e ricordi, sarà che sul filo rosso della memoria si innestano luci d’un umano splendore, ma il lettore pare addentrarsi fitto fitto fra le pagine del romanzo “Acheni al vento” di Michele Caiati, pubblicato da Place Book. I veri supereroi sono quelli che sanno attraversare il dolore e non fuggono, allora è necessario scrivere e raccontarsi, nel desiderio di valicare i confini labili di ore e stanze che possono apparir vuote e il desiderio di libertà è un’avventura di inesauribile curiosità.
Non è semplice per Ninì nella terra di Puglia arrivare all’età adulta, fra alberi che volteggiano nel vento e dipingono ombre sui muri, come se da ogni fessura, di soppiatto, la luce del mattino spazzasse via ogni angoscia. Può il silenzio scoppiettare come legna sul fuoco? I dedali della vita sono parabole di delicate verità e pugni presi in faccia. Come si regge? Come si costruisce la speranza? Come si superano le mancanze? Se maggio è il mese delle rose, può altrimenti essere quello della neve e di un inconfondibile gelo interiore in unrr4a metanarrazione passante dalla prima alla terza persona capace di spiegare i legami e le penombre. Non c’è pietà nell’elenco delle disgrazie che il povero Ninì si ritrova a vivere. Maneggiare i sogni significa reclamare il proprio diritto alla speranza… Diciassette la disgrazia… Quarantotto il morto parlante… Dietro front… Sgombrare…
Lo scrittore riparte in una sorta di ciclo verghiano da dove tutto sembrerebbe esser perso, perché lui non vuole sentirsi “vinto e sopraffatto” da cotanta brutalità, ma vuole affermarsi, vuole abbattere il cartello “strada senza uscita”. Nella bottega del mistero dinanzi ad un uscio insignificante si corre il rischio di restare impantanati, ma Caiati non ci sta e sa di dovercela fare da solo, senza essere preso troppo alla sprovvista.
“Signore, quante volte devo perdonare chi pecca contro di me?” domanda con insistenza a un prete che recita il latino sbuffando e poi si sente dire che sopravvivono gli idonei, forse quelli più forti e prepotenti. Un altro pugno in faccia da incassare. “Egregio Signor Dio… perché anche quando non ci sono buone ragioni, il sopruso avviene sempre in danno della persona buona, del più debole? E quel che è peggio è che viene accettato da tutti, come un evento che porta equilibrio, tanto da sembrare giusto e di chiara accettazione?”
I sentimenti a volte mettono nei guai e ti fanno trovare col culo scoperto col rischio di sentirsi affogati ma la vera lezione è quella musica segreta che si chiama amore nella vulnerabilità e nel disarmo delle intenzioni. Il viaggio di ritorno a se stessi è un addio a qualcosa che non torna, è pausa di dolore e lagnanza, è un cielo che ti legge come un libro aperto, è un segreto che è meglio che non si sappia. Negli scaffali del cuore il “ce la faccio” è un pensiero rassicurante sull’onda lunga della precarietà, affastellata di tutto e di niente prima di giungere alla terra ferma.
Le migrazioni dell’anima non vanno mai prese sotto gamba, sono lettere lunghissime o brevissime per non mollare, campanelli di nostalgia e lontananze impossibili da raggiungere. Nella resa dei conti di Ninì le parole sono fardelli insopportabili ma a costruire i momenti belli ci pensa la crociata della speranza mai accantonata. Dopo la cavalcata all’inferno la vita riparte da un domani in una sfida costante alla sventura oltre l’abisso di un passato che è stato spazzatura.