Questa domenica la iniziamo così.
Con una frase, una dichiarazione, che, a suo modo, è passata alla storia. “Vedano, ho avuto intenzione di portare in patria il dipinto di Leonardo senza alcuno scopo interessato”.
Le prime parole di Vincenzo Peruggia, di professione imbianchino, ma passato alla gloria (ma sarà stata vera gloria? Oh, scusaci tanto Alessandro se ti abbiamo scomodato) per aver compiuto un furto unico nel suo genere: quello della Gioconda, custodita al “Louvre” di Parigi e proprio per questo uno dei dipinti più famosi di tutto il mondo.
Proprio Vincenzo Peruggia, nato vicino Varese nel 1881 e in Francia già da inizio ‘900, aveva posto il quadro nella sua nuova teca qualche tempo prima, essendo un operaio al servizio del museo. E grazie a questo, sapeva bene dove mettere le mani, i turni delle guardie e le migliori strade da seguire per uscire dal museo indisturbato.
Dalla sua parte due fattori molto importanti: il quadro non è molto grande e il custode aveva il vizio di appisolarsi durante il lavoro. E così, quella mattina del 21 agosto 1911, un lunedì, giorno di chiusura del museo, approfittando di un momento di distrazione del guardiano, entrò nel museo senza farsi vedere da nessuno, estrasse il quadro dalla teca, lo nascose dentro il cappotto e si allontanò dall’ingresso senza farsi notare. Tornato a casa nascose il dipinto sotto un tavolo, senza dire niente a nessuno.
Tutto improvvisato e soltanto fortuna? Per niente, anzi. Il giovane imbianchino aveva idee diaboliche e studiate fino all’ultimo dei dettagli. Perché? La sera prima era uscito con degli amici, fingendo di ubriacarsi e facendosi accompagnare a casa. La mattina invece uscì presto senza farsi vedere dal cugino che viveva con lui o dalla portinaia del palazzo. Allo stesso modo, dopo il furto, fu attentissimo a non farsi vedere, tornò a dormire e aspettò di essere chiamato dal cugino. Fingendo di essere nervoso perché in ritardo al lavoro, si fece notare dalla portinaia e altri vicini, e scappò al museo dove apprese la tragica notizia. Facendo finta di nulla, ovviamente.
Il quadro intanto rimase per tantissimi mesi sotto il tavolo dell’imbianchino lombardo, che dopo qualche tempo tornò in Italia per appenderlo in cucina. Solo momentaneamente, però, perché la sua volontà era quella di restituirla proprio al Belpaese. Convinto, erroneamente, di fare una cosa gradita perché rubato da Napoleone Bonaparte.
Dopo oltre due anni (due anni) Peruggia cercò di mettersi in contatto con un antiquario per restituire quel capolavoro, ma questo gesto è l’inizio della fine perché l’antiquario, insieme al direttore del museo degli Uffizi, studiò un piano esemplare per ingannarlo e incastrarlo.
Inevitabile l’arresto e il processo, a Firenze, nel quale ha sempre dichiarato di aver agito per patriottismo e non spinto o comprato da qualcuno. Fu condannato a un anno e quindici giorni, poi ridotti a sette mesi e quattro giorni. Nel frattempo, “Monna Lisa” era già tornata al suo posto, festeggiata e accolta con giubilo, mentre il giovane imbianchino, senza soldi e lavoro, fuori dal carcere fu abbandonato da (quasi) tutti.
È morto nel 1924, il dì del suo 44esimo compleanno, a causa di un infarto.